Di Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, curatore della rubrica Hic et Nunc che si occupa di psicologia, sanità e psicopatologia e della Prof.ssa Donatella Marazziti
Quando in una società avviene un femminicidio o si viene a conoscenza di atti di violenza perpetrati da un uomo nei confronti della propria partner o di altre donne, spesso prevalgono incredulità e shock. Ci si interroga su come la persona apparentemente della porta accanto si sia potuto trasformare in un carnefice e ci si chiede se si sono ignorati, volutamente o per timore, distrazione o stigma sociale, dei segnali, se si poteva intervenire in modo più deciso. La violenza sulle donne, come spiegato nel precedente articolo di Hic et Nunc in occasione del 25 novembre (link), lascia cicatrici e causa problematiche psicologiche non solamente su chi ne è vittima diretta bensì su tutto il suo ecosistema sociale, sui figli, sui familiari, su chi la circonda in senso lato. Si necessita dunque di interventi di prevenzione e gestione capillari, che sappiano integrare servizi sociali, sanitari, giuridici e di emergenza.
Ma che cosa porta l’uomo a commettere violenza? Le ragioni per cui commettono femminicidi o altri atti violenti sono complesse e multifattoriali, e non esiste una sola causa che possa spiegare tale comportamento. Tuttavia, ci sono vari fattori psicologici, sociali, culturali ed economici che contribuiscono alla violenza di genere e, in alcuni casi, al femminicidio e che spesso si intersecano e si rinforzano a vicenda, creando un ambiente in cui la violenza diventa un’opzione per risolvere conflitti o per esercitare controllo sulle donne.
I fattori psicologici: la violenza diventa una risposta a insicurezza, perdita di controllo, bassa autostima
In particolare, vi sono alcuni fattori psicologici che possono essere ritenuti chiave e che si ripetono spesso nei perpetratori di violenza, come alcuni disturbi psicologici (ad esempio, il disturbo antisociale della personalità, il disturbo narcisistico o il disturbo borderline di personalità), caratterizzati da scarsa empatia, mancanza di controllo degli impulsi, una visione distorta delle relazioni interpersonali, una bassa autostima e una diffusa insicurezza, sentimenti di gelosia patologica e possessività, una percezione di impotenza e frustrazione. In molti casi, entrano in gioco non solamente la visione ancora presente patriarcale della società, dove l’uomo ha un ruolo prevalente rispetto alla donna, ma anche reazioni e percezioni di fronte alla perduta del presunto controllo che un uomo pensa di avere diritto di esercitare sulla propria donna, che diventa di fatto una proprietà. La violenza diventa quindi una presa di potere, una risposta alla frustrazione dovuta alla perdita di controllo, non solamente legata alla relazione ma a vari aspetti della propria vita, una reazione a gesti di indipendenza che vengono percepiti come tradimenti.
Quando l’uomo perde il controllo, si può scatenare la violenza
Molti femminicidi sono il culmine di un rapporto caratterizzato da violenza domestica, in cui l’uomo esercita un potere e un controllo eccessivi sulla donna. La violenza fisica, psicologica ed emotiva viene utilizzata per mantenere il dominio sulla partner. Quando l’uomo percepisce che la sua posizione di controllo è minacciata – per esempio se la donna cerca di allontanarsi, di separarsi, o di sfuggire alla sua influenza – può reagire con violenza estrema, fino ad arrivare a ucciderla. Le difficoltà economiche e la perdita di status possono essere fattori scatenanti per alcuni uomini, in particolare se legati a una percezione di impotenza o frustrazione nella vita. Quando un uomo vive un momento di crisi economica, lavorativa o personale e percepisce la perdita di controllo sulla propria vita, può reagire con rabbia, aggressività e violenza verso chi percepisce come più vulnerabile, come la propria partner. In alcuni casi, le difficoltà nel mantenere un ruolo dominante all’interno della relazione possono scatenare violenze fatali.
Possessività e gelosia patologica, quando la donna è vista come proprietà
La gelosia è una delle motivazioni più comuni per la violenza nelle relazioni. In molti casi, diventa patologica e l’uomo sviluppa un senso di possesso nei confronti della donna. Quando una donna tenta di esercitare la propria autonomia o intraprende una relazione con qualcun altro, l’uomo può percepire questa azione come una minaccia al suo controllo, portandolo a reagire con violenza. Il femminicidio può essere visto come un atto per “riprendersi” ciò che è percepito come “proprietà”.
L’impatto della cultura patriarcale e disuguaglianza di genere sulla violenza
La cultura patriarcale, che ha storicamente visto gli uomini come superiori e le donne come subordinate, può alimentare la violenza di genere. In una società che promuove l’idea che gli uomini abbiano il diritto di dominare e controllare le donne, il femminicidio può essere visto come l’ultimo passo di un ciclo di violenza, in cui l’uomo non tollera il rifiuto, l’indipendenza o l’autonomia della partner, la quale, se rifiuta l’autorità o sfida il ruolo tradizionale che le è stato assegnato, può essere percepita come colpevole.
Dietro la violenza, ci sono spesso impotenza, inadeguatezza, incapacità di gestione emotiva
Alcuni uomini che compiono femminicidi hanno una bassa autostima e una forte insicurezza. La violenza contro la partner può essere una manifestazione di impotenza, inadeguatezza e della incapacità di gestire la frustrazione e la delusione. In questi casi, l’omicidio potrebbe essere visto come una risposta definitiva per risolvere un conflitto che minaccia il loro senso di sé.
Alcuni uomini violenti sono psicologicamente malati, ma non tutti
In alcuni casi, gli uomini che commettono femminicidi possono soffrire di disturbi psicologici o psichiatrici che influenzano il loro comportamento. La violenza può essere alimentata da disturbi di personalità, come il disturbo antisociale, il disturbo narcisistico, o il disturbo borderline, che possono portare a un’incapacità di empatia e a comportamenti impulsivi e distruttivi. Tuttavia, va sottolineato che non tutti gli uomini che commettono femminicidi sono psicologicamente malati, e non è corretto attribuire il crimine solo alla presenza di disturbi mentali.
Se mancano i modelli sani di relazione, la violenza può essere ripetuta nelle generazioni
Molti uomini che commettono femminicidi sono cresciuti in ambienti in cui hanno assistito a violenza domestica o dove la violenza era tollerata o giustificata. In queste situazioni, gli uomini imparano che la violenza è un modo legittimo per risolvere i conflitti o per esercitare il controllo sulle donne. La ripetizione di questi modelli di comportamento attraverso le generazioni è un fattore significativo che contribuisce alla perpetuazione della violenza di genere. Alcuni uomini non hanno infatti riferimenti positivi su come gestire una relazione sana e rispettosa e la mancanza di educazione emotiva, di rispetto per l’altro e di modelli di relazione non violenti può portarli a utilizzare la violenza come strumento di gestione dei conflitti. In contesti in cui non vengono promossi modelli sani di comportamento nelle relazioni, la violenza può essere vista come un mezzo accettabile per mantenere l’ordine.
La violenza come punizione per la donna che vuole separarsi
Un uomo può percepire la decisione della donna di separarsi o di uscire da una relazione violenta, come un attacco alla sua autorità e al suo controllo. La reazione violenta viene vista come una “punizione” o un tentativo di mantenere il controllo.
Le teorie psicologiche alla base della violenza di genere e domestica
La psicologia ovviamente indaga il fenomeno della violenza di genere e domestica, mediante teorie che esplorano le cause sottostanti comportamenti aggressivi e violenti e tramite diversi approcci psicologici.
Le teorie psicodinamiche suggeriscono che la violenza può essere il risultato di conflitti inconsci, traumi passati e meccanismi difensivi. Un uomo che cresce in un ambiente violento o in un contesto di abusi emotivi potrebbe riprodurre i modelli di comportamento appresi, utilizzando la violenza come un modo per gestire la frustrazione, l’impotenza o i sentimenti di bassa autostima.
Nelle teorie comportamentali le violenze sono considerate come comportamenti appresi e rinforzati da esperienze passate e da contesti familiari disfunzionali. In particolare, la violenza domestica può essere vista come una risposta automatica a situazioni percepite come minacciose, come la perdita di controllo sulla partner.
Secondo le teorie dell’identità di genere e della violenza patriarcale, la violenza contro le donne si lega a norme culturali che promuovono il controllo e la dominanza maschile. Gli uomini violenti possono essere influenzati da visioni stereotipate di mascolinità, dove la donna è considerata una proprietà o un oggetto da possedere, da proteggere o da controllare, con fenomeni con possessività e gelosia patologica che diventano una risposta alla minaccia percepita dell’autonomia della donna.
Sebbene non vi siano evidenze che suggeriscano che la violenza di genere sia geneticamente determinata, alcune ricerche esplorano come disfunzioni neurologiche o squilibri chimici possano influenzare comportamenti impulsivi e aggressivi. Questi fattori, insieme a un contesto sociale e relazionale disfunzionale, possono alimentare il rischio di comportamenti violenti.
L’importanza del supporto per gli uomini violenti, a favore dell’intera società
Anche se spesso ci si concentra in primis sul supporto per le vittime, anche quello per chi ha commesso violenza è importante per permettere di fermare il ciclo di violenza e impedire recidive. Non a caso infatti nelle carceri sono previste delle misure rieducative e psicologiche per chi ha commesso crimini, a tutela dell’intera società e per un reinserimento una volta scontata la pena. Infatti, dei programmi di riabilitazione per uomini che hanno compiuto atti di violenza domestica possono ridurre il rischio di recidiva. Interventi precoci possono prevenire che questi comportamenti diventino ancora più gravi.
Nicola Schulz Bizzozzero Crivelli, Department of Medical and Experimental Medicine, Section of Psychiatry and Department of Neurosciences, Section of psychiatry , University of Pisa. Degree in Psychology, Degree in Science of Tourism, Degree in Political Science and International Relations, and Master in Criminology. Ending the specialization in Clinical and Dynamic Psychology. Assistant of psychiatrist Donatella Marazziti, a psychopharmacologist, and Medical Director of the Azienda Ospedaliera Pisana (AOU) and Professor at the University of Pisa, Pisa, Italy, and at the Unicamillus University of Rome, Italy.