Tra la fine del 1888 e l’inizio del 1889, Friedrich Nietzsche visse a Torino un periodo che molti studiosi definiscono l'”inferno” nietzschiano, segnato da un progressivo e drammatico deterioramento dello stato mentale del filosofo. Durante questo lasso di tempo – in particolare tra settembre 1888 e gennaio 1889 – Nietzsche si trasferì in una modesta abitazione situata al quarto piano in via Carlo Alberto, con affaccio sulla celebre piazza omonima. Qui, nonostante il poco denaro speso (circa 30 lire al mese), egli conduceva una vita apparentemente attiva, trascorrendo ore a suonare il pianoforte messo a disposizione dai proprietari, Davide e Candida Fino, e scrivendo numerose lettere ai suoi amici e conoscenti, in cui il suo spirito e la sua autostima grandemente enfatizzata trasparivano nei toni, sebbene questi scritti inizialmente non apparissero troppo incoerenti rispetto al solito stile aforistico e provocatorio del filosofo
Il clima torinese, che Nietzsche definiva “magnifico e singolarmente benefico”, contribuiva a farlo sentire quasi ispirato – un luogo in cui, a suo dire, “non c’è niente da ridire” e dove si poteva “mangiare come un principe”. Tuttavia, dietro questa facciata di intensa attività creativa, si celava un progressivo scompenso. Le testimonianze e le corrispondenze dell’epoca rivelano come nei mesi che precedettero il crollo la sua scrittura iniziasse a manifestare tratti di estrema eccentricità: spesso alternava periodi di lucida autoaffermazione a fasi in cui la sua prosa diveniva sempre più disordinata e quasi delirante.
Il culmine di questa crisi si ebbe il 3 gennaio 1889. Secondo il racconto più noto, mentre si trovava in Piazza Carlo Alberto, Nietzsche fu testimone – o, per quanto alcuni sostengano, immaginò – di una scena di violenza contro un cavallo: un cocchiere, secondo la leggenda, fustigava a sangue l’animale adibito al traino di una carrozza. Sconvolto dall’inspiegabile crudeltà e mosso da una profonda empatia (o forse dal turbinio di idee e simbolismi che già da tempo caratterizzavano il suo pensiero), il filosofo corse verso il cavallo, lo abbracciò, lo baciò, e fu così sopraffatto dalle emozioni da svenire sul selciato, scatenando un clamoroso scandalo pubblico
. Alcuni studiosi suggeriscono che l’episodio potesse essere stato esagerato nel tempo, tanto che vi sono versioni che parlano di “vistose rimostranze” e schiamazzi senza il coinvolgimento diretto dell’animale; tuttavia, il fatto è che quel giorno Nietzsche perse il controllo, manifestando in maniera incontrollata il suo stato d’angoscia e disorientamento.
Nei giorni successivi al crollo, il filosofo inviò ai suoi amici quello che sono ormai noti come i “biglietti della follia” (o Wahnbriefe). In queste lettere – spesso firmate con pseudonimi come “Dioniso”, “Il Crocifisso” o “L’Anticristo” – Nietzsche si presentava in una luce fortemente alterata: i messaggi, di tono aggressivo e talvolta apocalittico, contenevano minacce, dichiarazioni deliranti e richiami a figure simboliche che incorniciavano il suo drammatico stato interiore. Questi scritti furono sufficienti a far preoccupare profondamente gli amici più cari, come Franz Overbeck, che decise di intervenire personalmente per portarlo via dalla spirale autodistruttiva. Così, il 9 gennaio 1889, Overbeck si recò a Torino per portare Nietzsche in una clinica psichiatrica a Basilea, segnando il definitivo passaggio dal periodo di intensa creatività (e di conflitto interiore) a quello di completa malattia mentale
.L’esperienza torinese, dunque, rappresenta un momento cruciale e tragico nella vita di Nietzsche. La convivenza con la bellezza e la vitalità di una città che egli amava tanto, la partecipazione – almeno inizialmente – alla vita culturale e sociale, e poi il progressivo crollo interiore, creano un contrasto straziante: da una parte la sua intensa voglia di creare, dalla parte dell’altro, l’angoscia che lo portò a perdere ogni controllo. La scena del cavallo, simbolicamente interpretata da alcuni come un gesto di empatia estrema o persino di auto-sacrificio, è divenuta ormai leggendaria e ha alimentato innumerevoli interpretazioni, sia in chiave psichiatrica che filosofica, evidenziando come la “follia” e la genialità possano, in certi casi, essere due facce della stessa medaglia.
In sintesi, l’”inferno di Nietzsche a Torino” si configura come il drammatico epilogo di un percorso segnato dalla ricerca incessante di un pensiero rivoluzionario e dalla pressione di un’immensa creatività, che, tuttavia, si scontrò con i limiti del suo corpo e della sua mente. Quel periodo – caratterizzato da una vita torbida fatta di ispirazione, crisi e declino – rimane uno degli episodi più emblematici e controversi della biografia del filosofo, gettando una luce amara ma anche affascinante sul rapporto tra genio e follia.