Liliane Tami, bioeticista
La Toscana è recentemente diventata la prima regione in Italia ad approvare un caso di suicidio assistito, accendendo un acceso dibattito sulla dignità della vita e sul senso dell’accompagnamento nel fine vita. Una decisione che segna un pericoloso precedente e che sembra aprire la strada a un’ideologia che svaluta la sacralità dell’esistenza umana, proponendo soluzioni che ricordano scenari di epoche oscure.
La legge sul suicidio assistito in Italia è stata influenzata dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019 sul caso di Dj Fabo, che ha portato a una regolamentazione più permissiva in certe condizioni specifiche. Tuttavia, questa deriva legislativa tradisce il senso più profondo dell’essere umano e del valore inalienabile della vita.

Il suicidio assistito viene presentato come una scelta di libertà, ma in realtà è il sintomo di una società che abdica alla propria responsabilità di prendersi cura dei più fragili. Le pressioni ideologiche e mediatiche hanno portato a un’inquietante normalizzazione della morte procurata come alternativa alla sofferenza, anziché investire risorse nel miglioramento delle cure palliative e dell’accompagnamento.
Chi sostiene l’eutanasia e il suicidio assistito spesso parla di “morte con dignità”, ma la vera dignità non risiede nell’anticipare la fine della vita, bensì nell’essere accompagnati con amore, cure e sostegno fino all’ultimo respiro. Ogni vita, anche segnata dalla malattia e dalla sofferenza, ha un valore intrinseco che non può essere annullato da scelte politiche o sentenze giuridiche.
Abbiamo il dovere di contrastare la logica dello scarto che considera le persone malate o disabili un peso per la società. La storia ci insegna che ogni volta che si è giustificata la morte per “compassione”, si è aperta la strada a scenari in cui la vita diventa una variabile economica e sociale, anziché un diritto inalienabile. Non possiamo dimenticare le derive eugenetiche del passato, che oggi sembrano tornare sotto nuove vesti.
Invece di spingere le persone a scegliere la morte, la società dovrebbe investire su percorsi di accompagnamento umano e medico che garantiscano una qualità di vita dignitosa fino alla fine. La medicina palliativa ha fatto passi da gigante nel controllo del dolore e nella gestione della sofferenza, offrendo un’alternativa autenticamente umana al suicidio assistito.
Dobbiamo promuovere una cultura della vita che non lasci sole le persone nel momento della prova, ma le sostenga con affetto, rispetto e competenza, anche a costo di usare morfina e oppiacei pesanti. Il valore della vita non dipende dalla sua efficienza o dalla sua autosufficienza, ma dal suo essere irripetibile e degna di amore fino all’ultimo istante.
Conclusione
L’approvazione del primo suicidio assistito in Toscana rappresenta un allarme per tutta la società. Non possiamo permettere che l’idea della morte programmata si sostituisca alla cura e alla compassione autentica. La vita è un dono prezioso che merita di essere accompagnato con rispetto e dignità fino alla fine, senza scorciatoie che la banalizzano. Lottiamo per una società che protegga la vita e non la elimini, che offra sostegno invece che scoraggiamento, che valorizzi ogni persona, in ogni momento della sua esistenza.