La condanna e l’esecuzione di Gesù di Nazaret, così come sono narrate nei Vangeli, pongono molti interrogativi dal punto di vista giuridico, sia ebraico che romano. Gli studiosi, sia religiosi che laici, concordano sul fatto che ci furono diverse irregolarità, o almeno stranezze, nel processo che lo portò alla crocifissione. Esaminiamo la questione separando i due ambiti giuridici coinvolti: quello ebraico e quello romano.


1. Processo ebraico:

Secondo la legge ebraica (la Halakhah), il Sinedrio aveva competenza su questioni religiose e poteva giudicare i casi di eresia o bestemmia. Tuttavia, ci sono diversi punti problematici:

  • Processo notturno: Secondo la Mishnah (che codifica la legge orale ebraica), i processi capitali dovevano svolgersi di giorno, e mai durante la notte o nei giorni festivi (come la Pasqua).
  • Decisione rapida: Un verdetto di condanna a morte non poteva essere pronunciato nello stesso giorno del processo. Era previsto un giorno intero per riflettere sul caso. Nel caso di Gesù, il verdetto fu immediato.
  • Testimonianze: Secondo la legge ebraica, servivano almeno due testimoni concordi per condannare un imputato, soprattutto in un processo capitale. I Vangeli stessi affermano che i testimoni erano discordi.
  • Accusa di bestemmia: Gesù fu accusato di bestemmia per aver affermato di essere il Figlio di Dio o il Messia. Tuttavia, il concetto di “bestemmia” era molto specifico nella legge ebraica e doveva consistere nell’insulto esplicito al Nome di Dio (il Tetragramma), non semplicemente nell’affermare di avere un ruolo messianico.

2. Processo romano:

Poiché la pena di morte non era nella competenza delle autorità ebraiche sotto il dominio romano (come confermato da Giovanni 18:31), Gesù fu portato da Ponzio Pilato, il governatore romano, per una conferma della condanna e l’esecuzione.

  • Motivazione politica: Davanti a Pilato, l’accusa cambiò: da bestemmia si passò all’accusa di sedizione contro Roma — ovvero di essersi proclamato “Re dei Giudei”. Questo era un reato politico.
  • Pilato riluttante: I Vangeli dipingono Pilato come incerto, quasi riluttante a condannarlo, e intenzionato a liberarlo. Tuttavia, alla fine acconsente per evitare sommosse. Ciò potrebbe riflettere una realtà storica: Pilato non era noto per la clemenza, ma per il pragmatismo e la durezza.
  • Mancanza di prove concrete: Non vi era un’accusa chiara e dimostrata di ribellione armata, ma solo una proclamazione “simbolica” del regno di Dio da parte di Gesù. Tuttavia, i romani vedevano con sospetto qualsiasi forma di messianismo e potevano considerarlo pericoloso.

Conclusione:

Dal punto di vista strettamente legale, la condanna e l’esecuzione di Gesù non sembrano rispettare appieno né le norme ebraiche né quelle romane. Ci furono irregolarità procedurali, pressioni politiche e un forte intento di “togliere di mezzo” una figura scomoda sia per l’establishment religioso ebraico che per il potere romano.