(Londra, 1813. Dopo il celebre “Chi è quel grassone vestito di blu?”)

(in tono crescente, fra indignazione e incredulità)
MA CHI È QUESTO QUA? MA CHI CREDE DI ESSERE?
Un figlio di nessuno! Il rampollo di un impiegato di terz’ordine, e si permette di… di parlarmi con quell’aria? Di guardarmi come se fossimo uguali?

(fa qualche passo, gesticolando)
Oh, certo… è spiritoso. Arguto. Talvolta persino divertente. E sì, lo ammetto — nessuno sa portare una giacca come Brummell.
Perfetto. Impeccabile. Cammina per il club come se fosse nato in un palazzo, e tutti gli aprono la strada. Ma non è nato in un palazzo. Non ha nemmeno un titolo!

(si ferma, rabbioso)
E poi quella frase… quella frase. Davanti a tutti.
“Chi è quel grassone vestito di blu?”
A me? A me?!
Il Principe di Galles! Il futuro Re!

(voce più bassa, quasi delusa)
L’ho fatto entrare io. L’ho alzato, portato al centro di Londra. Lo chiamavano nessuno, e io gli ho dato tutto: inviti, favori, il mio tempo.
E lui? Mi deride. Mi umilia. Come se fossi solo un altro manichino da deridere.

(pausa. Un sorso di brandy. Il tono si fa più amaro.)
Eppure… eppure non posso negarlo. Era l’unico che osasse davvero dirmi la verità.
Il solo che mi guardava negli occhi e rideva — non del titolo, non del trono… di me. E forse è questo che non gli perdono.

(si gira verso lo specchio, parlando a sé stesso con sarcasmo)
Beau Brummell. Re del gusto. Sovrano delle cravatte. Sfrontato, elegante, irresistibile.
E io? Io sono solo il grassone in blu.

(una risata amara. Poi un’esplosione rabbiosa)
Fuori. Fuori da Londra. Che marcisca in Francia, coi suoi debiti e le sue cravatte!
Che impari la differenza tra uno scherzo e un colpo di pugnale!

(pausa. Tono basso, quasi triste.)
Ma un giorno, forse… un giorno si ricorderà di me.
E io — io non potrò dimenticare lui.