(La notte è umida. Il rumore metallico della stazione. Il treno si avvicina. Anna, spettinata, gli occhi sbarrati, cammina con passo incerto. Si ferma. Parla da sola, tra sé e sé. I pensieri diventano voce.)

Lo sento…
Il suono.
Quel rombo che taglia l’aria come un giudizio.
È lui. Sta arrivando.
Il treno… il treno che porta via, che schiaccia, che cancella.

(Ride piano, amaramente.)

Che stupidi, gli uomini.
Parlano d’onore, di Dio, di morale…
e poi ridono alle mie spalle.
Mi osservano, come un animale ferito.
Vronskij…
Aleksej, il mio amore…
Non mi ama più, lo so.
Lo vedo nei suoi occhi, quando pensa che io dorma.
Pietà.
Solo pietà.

(Guarda in alto, poi verso il buio dei binari.)

E mio figlio?
Serëža…
Ho sentito la sua voce in sogno…
“Mamma, perché non vieni più?”
Ma io sono sporca, sono condannata.
E la società lo dice con ogni sguardo, ogni porta chiusa, ogni risata soffocata nei salotti.
Non c’è redenzione per me.
Solo silenzio. O questo rumore che arriva…

(Si stringe le braccia al petto, trema.)

Io volevo solo… amare.
Sì, volevo essere viva, solo viva!
Non una moglie imbalsamata, non una statua d’obbedienza.
E invece sono diventata schiava della mia stessa libertà.
Sono un peso per lui…
Una malattia da cui guarire.
E allora…

(Si volta verso la direzione del treno, che ormai è vicino.)

Basta pensare. Basta soffrire.
Il tempo è un cerchio che si stringe.
E io… io posso fermarlo.
Non avranno più nulla da dire.
Né perdono, né condanna.
Solo… silenzio.
Finalmente.

(Un fischio. Rumore crescente. Anna chiude gli occhi. Si lascia andare.)

Adesso sì.
Tutto finirà.
Tutto…
e niente…