Di Accattone il Censore per ComeDonChisciotte.org

Domenica con la spiaggia vuota. Gli stabilimenti deserti, i ristoranti ancora chiusi.

È già un’atmosfera postatomica. Foschia chimica e acqua ferma, stagnante, paludosa. Vorrei vedere il fondo dell’esistenza e non riesco a vedermi neppure i piedi.

Tutto ha l’immobilità di un quadro: la solitudine, la fissità e l’incomunicabilità di un dipinto di Hopper; i rari corpi, già schiantati e immortalati dal bagliore di un’istantanea nucleare .

Vele in lontananza, una regata che avviene per finta, in un’altra realtà senza tempo, o su una scenografia: puro segno grafico, breve impressione retinica come nelle tele di Lyonel Feininger.

Il noumeno kantiano è irraggiungibile e inafferrabile, ma da quando la realtà è di plastica?

Che cos’è questa angoscia di sottofondo, questo oscuro sciabordio nei recessi dell’anima? Questa sabbia mobile?

In definitiva, non si gioca che alla commedia del potere.

È la paura atavica e senza nome da cui si genera il potere, cioè l’ossessione del controllo, non essendo l’Assoluto che l’insufficienza dell’uomo, che si appiglia disperatamente a qualcosa fuori di lui, uno scoglio scivoloso per evitare il naufragio: divinità, religioni, magia cerimoniale, congiunzioni astrologiche e calcoli cabalistici.

E a che cosa porteranno?

La fine di Israele, fine dei tempi… ogni civiltà è particolare e non può immaginare una fine generale.

Ho già perso il lavoro e i soldi; perderò anche la casa e poi la vita: e allora?

Dovremmo mirare all’atarassia delle alghe: hanno già vinto, ci sono sopravvissute: un tacco di una scarpa, un pettine, un assorbente… cosa capiranno di noi gli archeologi del futuro?

Scriveva Marco Aurelio nei Pensieri:

Tieni a mente il passato, e tutti quei rivolgimenti di dinastie; puoi prevedere anche il futuro, perché sarà sempre uguale, senza possibilità di sottrarsi al ritmo del presente. Quindi non v’è nessuna differenza nello studiare la vita umana per quarant’anni o per diecimila. Che cosa potresti vedere di più?

Tutto è già avvenuto, chissà quante volte. E tutto sembra in procinto di finire, di nuovo e per sempre. Eppure, il mistero ciclico del tutto ancora ci sfugge.

Al bar, una donna col morale sotto i tacchi a spillo, porta già sul viso i segni del cataclisma e confida all’amica il motivo: con la tintura ha dovuto coprire i primi capelli bianchi.

Peccato che la fine possa essere solo circoscritta, perché anche la conservazione della specie dovrebbe avere una data di scadenza.