Di Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, curatore della rubrica Hic et Nunc che si occupa di psicologia, sanità e psicopatologia

Parlare oggi del Medioriente significa confrontarsi con una crisi che non è più regionale, ma globale. Il cuore antico di civiltà millenarie si è trasformato nell’epicentro di uno sconvolgimento che ridisegna non solo gli equilibri locali, ma la stessa architettura della geopolitica mondiale. È nel crocevia tra religioni, risorse e ideologie che si sta consumando un conflitto che non risponde più ai codici della diplomazia, ma all’imprevedibilità del terrore, della rappresaglia, dell’annientamento.

In questa riflessione, Schulz portaun’analisi lucida e profonda, dove si intrecciano scienza politica, diritti internazionali e consapevolezza umana, per comprendere, oltre le cronache e le retoriche, che cosa stia davvero accadendo.

Il Medioriente come punto di non ritorno

Il 7 ottobre 2023 ha segnato una frattura epocale. L’attacco brutale di Hamas contro civili israeliani ha provocato una risposta militare che ha travalicato ogni confine della legittima difesa. Gaza è stata devastata, intere infrastrutture annientate, migliaia di vittime civili. Ma la vera svolta è stata l’espansione del conflitto: Israele e Iran sono entrati in guerra diretta, generando un nuovo e inedito asse di instabilità nella geopolitica mondiale.

Missili, droni, blackout, attacchi ai siti nucleari. Siamo ormai di fronte a un’escalation senza mediazioni, in cui il diritto internazionale sembra sospeso. A pagarne il prezzo, come sempre, è la popolazione civile. Ma a vacillare, questa volta, è anche l’idea stessa di stabilità, di trattativa, di diplomazia multilaterale.

I limiti della legittima difesa

Israele rivendica il diritto all’autodifesa, sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Un principio riconosciuto, ma non assoluto: dice che difendersi non può significare distruggere. La sicurezza non si costruisce annientando un’intera popolazione. Ogni reazione, per essere legittima, deve rispettare il principio di proporzionalità, essere mirata, e tutelare la popolazione civile.

Allo stesso tempo, l’Iran non è un attore neutrale: finanzia milizie, arma gruppi radicali, mantiene una strategia aggressiva su scala regionale. Tuttavia è essenziale distinguere tra regime e popolazione. Il popolo iraniano sta pagando un prezzo altissimo per una guerra che non ha scelto, e che subisce due volte: sotto le bombe esterne e sotto la repressione interna.

Nel silenzio ambiguo delle potenze globali, Schulz richiama l’urgenza di un’etica coerente delle relazioni internazionali: Non si può condannare un’occupazione e giustificarne un’altra. Il diritto non è selettivo. E neppure la compassione.

Cultura, memoria, identità

Gli stretti legami con la famiglia Abbasi Tashizi e in modo particolare con Mohamed Reza Abbasi Tashizi, che ha scelto di lasciare il paese per non seguire il padre petroliere e per poter seguire il suo talento artistico, espresso attraverso il make up e hair style per alta moda e celebrità fra cui Lady Gaga e Paris Hilton), discendente diretta della dinastia Safavide, ha permesso a Schulz di conoscere la storia profonda dell’Iran e di acquisire la consapevolezza che l’identità iraniana autentica non si esaurisce nel regime. È fatta di filosofia, poesia, bellezza, tolleranza. È un patrimonio culturale sotto assedio, ma ancora vivo.

Per questo, indica anche una possibile via di transizione: un ritorno alla monarchia costituzionale attraverso la figura di Reza Pahlavi, come ipotesi democratica interna. Non si tratta di nostalgia ma di realismo. In assenza di partiti liberi e rappresentanze legittime, questa figura laica e moderata può offrire un’alternativa concreta, capace di ricostruire dall’interno una coesione psichica e civile.

Una psiche collettiva lacerata

Ma ogni guerra, oltre ai danni materiali, produce ferite invisibili. Ogni bomba distrugge anche una certezza. Ogni sirena lacera un equilibrio interiore. A Gaza, in Iran, in Israele, milioni di persone vivono sotto stress cronico. I bambini crescono nella paura, gli adulti nell’allerta costante, i giovani senza immaginare un futuro.

Anche in chi osserva da lontano, la guerra lascia tracce. Le immagini, le narrazioni polarizzate, l’ansia geopolitica penetrano nel tessuto emotivo collettivo. La geopolitica mondiale è anche una geopolitica della mente. Non si possono ignorarne gli effetti psicologici, né considerare la salute mentale come un lusso secondario.

Serve un cambio di paradigma: la ricostruzione deve cominciare anche dalla psiche: non si ricostruisce la pace se prima non si ricostruisce la mente.

Dalla paralisi all’azione

Il Medioriente oggi è lo specchio più nitido di un sistema globale che non regge più. Ma potrebbe anche diventare il laboratorio di un nuovo pensiero politico, fondato sulla dignità e sulla complessità umana. Un pensiero che rifiuti i calcoli cinici, le narrative semplificate, i popoli sacrificabili.

Non esistono civiltà inferiori, conclude Schulz, ma solo un’umanità ferita, che chiede oggi, più che mai, cultura, coraggio e cura.

Nicola Schulz Bizzozzero Crivelli fa parte del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Psichiatria, dell’Università di Pisa, ed è laureando magistrale in Psicologia Clinica e Dinamica. È in possesso di una laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche, una laurea in Scienze del Turismo, una laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, nonché di un master in Criminologia.

È inoltre membro delle seguenti organizzazioni scientifiche e professionali: Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP), International College of Neuropsychopharmacology (CINP), International OCD Foundation di Boston (IOCD), European College of Neuropsychofarmacology (ECNP), American College of Neuropsychology (ACNP), International College of Obssessive Compulsive Spectrum Disorders (ICOCS), Society of Clinical Psychology – Division 12 dell’American Psychology Association (APA), Asian Association of Social Psychology (AASP), International Association of Applied Psychology (IAAP).