Liliane Tami

Riarmo, l’Italia aderisce al fondo Safe: fino a 150 miliardi dall’Ue per la difesa comune

Il governo Meloni ha ufficializzato l’adesione al fondo europeo SAFE (Support for Ammunition, Joint Procurement and European Defence Empowerment Facility), il nuovo strumento dell’Unione Europea che prevede fino a 150 miliardi di euro in prestiti e garanzie da destinare al rafforzamento della difesa comune e all’integrazione degli eserciti europei.

Mentre l’Italia affronta una delle più delicate crisi sociali ed economiche degli ultimi anni, il governo guidato da Giorgia Meloni spinge con forza sull’acceleratore della spesa militare. Con oltre 42 miliardi di euro già stanziati per il riarmo, l’esecutivo ha dato il via a una vera e propria corsa agli armamenti, lasciando indietro settori cruciali come l’istruzione, la sanità e il sostegno alle famiglie.

Il dato è impressionante: secondo l’osservatorio indipendente Milex, in meno di tre anni il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto approvare 46 programmi di riarmo – 37 nuovi e 9 aggiornamenti – che peseranno sul bilancio statale per almeno 3,5 miliardi di euro solo nel triennio 2025-2027, ma con un costo reale che si estenderà su 10-15 anni.


Cos’è il progetto SAFE

A questa politica nazionale si aggiunge ora l’adesione dell’Italia al progetto europeo SAFE (Support for Ammunition, Joint Procurement and European Defence Empowerment Facility), un nuovo strumento dell’UE che punta a creare una piattaforma integrata di procurement militare, con un budget potenziale di 150 miliardi di euro tra fondi, garanzie e prestiti.

L’Italia ha aderito in extremis e ha già chiesto 14 miliardi di euro, da restituire in 45 anni, per finanziare i propri piani militari. Ma SAFE non è un fondo qualsiasi: per accedervi non basta presentare progetti nazionali, occorre sviluppare progetti comuni con altri Paesi europei, promuovendo la produzione congiunta di armi, munizioni, droni e altri sistemi bellici.

Il vero problema? L’Italia non ha ancora una regia, né ha nominato un ente nazionale in grado di gestire questi fondi. Mentre Francia e Germania si sono mosse con lungimiranza, affidando il coordinamento rispettivamente a Bpifrance e KfW, l’Italia rimane senza un piano. Solo in via informale si parla della Cassa Depositi e Prestiti come possibile candidato, ma senza una nomina formale, rischiamo di restare indietro anche nel campo in cui ci stiamo sforzando di correre.

Ma a che prezzo?

In un Paese con natalità ai minimi storici, scuole in emergenza strutturale e un sistema sanitario in affanno, l’aumento vertiginoso delle spese militari dovrebbe far riflettere. I 42 miliardi già stanziati – e quelli in arrivo con SAFE – rappresentano una precisa scelta politica: l’Italia decide di investire sulle armi, mentre lascia in secondo piano il welfare, la cultura, l’educazione e il futuro dei giovani.

Nel 2023, ad esempio, la spesa pubblica per l’università e la ricerca in Italia è stata di circa 9 miliardi di euro: meno di un quarto rispetto a quanto impegnato per sistemi d’arma. E mentre si cercano fondi per costruire asili nido o sostenere le famiglie con figli, si approvano in silenzio nuove commesse militari decennali.


Difesa di cosa, se non della dignità?

Difendere la patria non significa solo armarsi, ma costruire coesione sociale, sostenere i più fragili, garantire diritti e accesso alla cultura. Un Paese sicuro è un Paese giusto, istruito, equo. Un Paese armato, ma ignorante e povero, non è più sicuro: è solo più instabile.

Meloni ha dichiarato di voler garantire la “sovranità” italiana anche sul piano della difesa. Ma la vera sovranità si costruisce investendo sul capitale umano, non solo in fabbriche d’armi.

Senza una visione integrata, il rischio è quello di diventare una potenza militare con fondamenta sociali deboli. E questo, nella storia, non ha mai portato a nulla di buono.


Conclusione: una regia per il futuro, non solo per le armi

Se serve una regia per il riarmo, ancor più serve una regia per la giustizia sociale, l’istruzione e la cultura. L’Italia ha le risorse, ma manca la volontà politica di investirle dove davvero servono. La corsa agli armamenti può portare consenso immediato, ma non costruisce un futuro. Per quello, servono libri, scuole, stipendi dignitosi, servizi efficienti.

L’Europa potrà anche finanziare droni e cannoni, ma senza investire nelle persone, nessuna difesa sarà davvero efficace.

per approfondimenti

https://www.milanofinanza.it/news/meloni-spinge-la-difesa-fatta-in-casa-42-miliardi-gia-stanziati-ma-ora-serve-una-regia-unica-202508011855355567#google_vignette?refresh_cens

oppure

https://quifinanza.it/economia/fondo-safe-italia-ue-difesa/922383/