di Tito Tettamanti

Trattare con Trump non è facile e presumo neppure piacevole. L’uomo è da un lato prepotente,
aggressivo, narciso, come in genere tanti grandi capi, non ha una strategia facilmente intuibile e
muta parere e atteggiamenti a seconda di quello che pensa sia il suo interesse del momento,
facendo continuamente capire che è lui il più forte.

È cosciente dell’egemonia, anche se in difficoltà, degli USA e ne vuole pesantemente
approfittare dimenticando per contro le responsabilità dello Stato egemone.
Detto questo, l’unica cosa certa è che Trump è il Presidente degli Stati Uniti con tutti i poteri
connessi (e secondo lui anche più) ed è con lui che dobbiamo trattare.

Poi gli antitrumpisti di professione si sfogheranno dicendo, non totalmente a torto, peste e corna
di lui. Buon per loro se ne avranno giovamento, ma vedere la democrazia negli USA in grave
pericolo, ormai defunta è un abbaglio (voluto?) specie per chi per altri Paesi (o nell’ONU) non
critica le pesanti forme autocratiche, e del passato ricorda solo il fascismo. D’altro canto, se
Trump è arrivato al potere è responsabilità loro, spesso rappresentanti degli utopismi
intellettuali e wokisti diffusi nel mondo intellettuale, nelle università, nella politica e anche in
quello dell’economia, con adesioni in questo campo di spregevole conformismo.

Dal punto di vista della teoria economica mi pare di poter affermare che Trump prende un
abbaglio a proposito dei dazi. Il maggior gettito dei dazi stessi va in gran parte a carico dei
consumatori americani, che vengono indotti a consumare meno. Se invece, come pensa
Trump, ciò obbligherà le industrie (che hanno un impatto minore nell’economia odierna) a
produrre negli USA, ovviamente minore sarà il gettito dei dazi.
La reazione dei governi europei, comprensibilmente, è determinata dagli interessi e storie dei
singoli Paesi.Che Germania e Italia siano più inclini alla negoziazione è la conseguenza di una loro maggioreindustrializzazione rispetto alla Francia il cui antiamericanismo già dai tempi di De Gaulle è noto.

Senza dimenticare che i governanti dei diversi Paesi europei parlano con gli USA, sì, ma prima
ancora parlano e dicono cose che si augurano vengano gradite dai loro elettori, quelli sui quali
contano per venir rieletti. Nell’ambito dei grandi giochi si inseriscono quelli del potere
domestico.

Per quanto riguarda Trump, il tutto si inquadra in un piano più vasto che nasce dalla sua
convinzione che molti Stati abbiano continuamente approfittato del sostegno USA (fatto vero nel
caso della NATO) e ora chiede per diverse vie il rimborso di quanto speso. Vuole dei contributi
che gli permettano di massicciamente ridurre il preoccupante debito pubblico americano
(28.700 miliardi di dollari).

Gli americani poi si sono già scontrati in tempi passati a proposito di dazi. La guerra civile (di
secessione) tra gli Stati USA del Nord e quelli del Sud, al di là del conclamato scontro sulla
schiavitù, è stata originata dal fatto che gli Stati del Nord volevano imporre dazi per proteggere
le proprie industrie manifatturiere, quelli del Sud, esportatori, per contro si opponevano.
Nell’UE la reazione è anche violenta perché nell’ambito comunitario non si conoscono dazi, ma
si dimenticano volutamente le sempre più numerose e burocratiche barriere di carattere non
daziario, spesso pericolosamente influenzate dalle ideologie. Il costo del dazio è facilmente
calcolabile, quello delle barriere ed ostacoli, per i quali a seconda dei casi si invocano quale
giustificazione necessità varie, tipo la protezione di diritti alla salute, di una sana alimentazione,
la protezione dei lavoratori, dimenticando che la miglior protezione è costituita dalla creazione
di occasioni di lavoro, e così via è difficilmente quantificabile.

Queste barriere, talvolta figlie di utopie e di mancato senso della realtà, di piani burocratici che
fanno a pugni con le esigenze pratiche – e gli operai dell’industria automobilistica europea
pesantemente in crisi ne sanno qualche cosa – sono poi accompagnate da acribiche misure
burocratiche con obblighi di certificazione, di etichettatura, di confezionamento dei prodotti che
impongono alle ditte di caricare le loro amministrazioni di costose attività non produttive.
Per produrre 7.5 milioni di vetture la giapponese Toyota impiega 380.000 persone. La
Volkswagen per produrne 9 milioni, il 20% in più, impiega il 40% (680.000) in più di
manodopera. Possiamo pensare che il sistema europeo non sia certo senza responsabilità.

Ci lamentiamo giustamente delle pretese di Trump dimenticando però che il Fondo monetario
internazionale (FMI) ha quantificato quelli che vengono considerati come dazi interni nell’UE in
un gravame del 44% sul commercio e 110% sui servizi. Conseguenza inevitabile, negli ultimi
decenni il PIL europeo ha perso il 30% rispetto agli USA.

L’UE è sottoposta a influenze ideologiche, con più spreco nei costi e con esigenze per
l’esecuzione amministrativa, con oneri complessivamente più pesanti di quanto siano i dazi. Si
potrebbe trovare in quest’ambito dello spazio per compensare parzialmente l’onere dei dazi
USA, ma a Bruxelles non garberà certo.

Non di solo Trump si muore.