Il 28 settembre 2025 i cittadini svizzeri saranno chiamati a esprimersi sull’identità digitale
(ID-e). In apparenza si tratta di un semplice documento elettronico, una comodità per
semplificare l’accesso ai servizi pubblici. Ma in realtà, la posta in gioco è ben più alta: la
definizione del rapporto tra cittadini, Stato e tecnologia per i decenni a venire.
Mentre Berna rassicura che l’ID-e sarà facoltativa, sicura e sotto controllo statale, la
stessa Confederazione, attraverso la fondazione TA-SWISS, finanzia uno studio sui
sistemi di social scoring. Non per implementarli direttamente, ma per analizzarne rischi e
implicazioni. Il semplice fatto che con denaro pubblico si esplori la possibilità di classificare
i cittadini secondo comportamenti e dati, pone interrogativi profondi.

La filosofia politica ci insegna che la libertà non viene mai sottratta in un solo colpo, ma
limitata a piccoli passi, spesso sotto la veste del progresso o della sicurezza. Johan
Rochel, ricercatore coinvolto nello studio menzionato, ha avvertito che i sistemi di
valutazione sociale possono introdursi “attraverso la logica dei progetti pilota”. È un
avvertimento prezioso: ciò che oggi appare come sperimentazione neutrale, domani può
diventare pratica diffusa.

Non è un fenomeno nuovo. In Cina, il sistema di credito sociale è stato introdotto
inizialmente come strumento per monitorare affidabilità finanziaria e comportamenti civici,
ma in pochi anni si è trasformato in un meccanismo di controllo pervasivo, in cui ogni
gesto – un pagamento in ritardo, una critica al governo, un amico “sbagliato” – può influire
sull’accesso a viaggi, prestiti o opportunità di lavoro.
È legittimo chiedersi: la Svizzera, nel suo percorso di digitalizzazione, ha strumenti
giuridici sufficienti per impedire che una logica simile prenda piede, magari in forma
subdola?

Non vanno dimenticati coloro che rischiano di pagare il prezzo più alto di questa
trasformazione: anzitutto gli anziani, spesso meno avvezzi al digitale, che si troverebbero
costretti a delegare ad altri la gestione della loro identità, con il rischio di dipendenza e
perdita di autonomia; anche le persone con fragilità economiche, sociali o psicologiche
potrebbero subire un’ulteriore esclusione: senza accesso fluido al digitale, rischiano di
rimanere tagliati fuori da servizi fondamentali.

Paradossalmente, uno strumento pensato per “semplificare” rischia di diventare per molti
una gabbia invisibile, da cui non è più possibile uscire. Una volta che l’identità digitale
diventa necessaria per accedere a banca, trasporti, sanità o persino per la raccolta firme o
per le votazioni, chi non la possiede rischia di non esistere più agli occhi delle istituzioni.
Qui sta la questione filosofica di fondo: quanto siamo disposti a barattare la nostra libertà
per la comodità? Ogni clic che ci evita una fila allo sportello (o alle casse dei
supermercati!), ogni login che semplifica un pagamento, ha un prezzo: la progressiva
concentrazione dei nostri dati in infrastrutture digitali.

La difficoltà principale, tuttavia, resta l’accesso alle informazioni. Pochi sanno che studi sul
social scoring sono in corso in Svizzera, finanziati con fondi pubblici. I media ne parlano
poco o nulla, e il dibattito pubblico resta superficiale. È legittimo che i cittadini si sentano
disorientati o sospettosi: come si può votare consapevolmente se non si è pienamenteinformati? La vera forza di una democrazia sta nella capacità di confrontarsi apertamente anche sui temi più controversi.

Il 28 settembre, gli svizzeri non voteranno su un semplice strumento tecnico. Voteranno su
un modello di società: da una parte, una Svizzera libera e democratica, con strumenti che
restano al servizio dei cittadini e non viceversa; dall’altra, uno Stato sempre più pervasivo,
in cui l’identità digitale diventa la chiave che apre o chiude ogni porta della vita quotidiana.
È una scelta che segnerà tutti, ma soprattutto chi non ha voce, gli anziani e i fragili. Per
loro, e per le generazioni future, è fondamentale non farsi imprigionare in una gabbia
dorata fatta di clic e di comodità apparente. Per questo voterò NO all’ID-e il 28 settembre!

Maria Pia Ambrosetti