All’alba del 17 luglio 1918, nella città di Ekaterinburg, si consumò uno degli episodi più tragici e simbolici del XX secolo: la brutale esecuzione dello zar Nicola II di Russia, della zarina Alessandra e dei loro cinque figli. Con loro, furono uccisi anche quattro fedeli servitori. La dinastia dei Romanov, che per oltre tre secoli aveva retto l’immenso impero russo, fu sterminata in una stanza seminterrata della Casa Ipatiev, nel silenzio della notte e nella barbarie della rivoluzione.

Dopo l’abdicazione di Nicola II nel 1917, la famiglia imperiale era stata posta agli arresti domiciliari, dapprima a Tsarskoe Selo, poi trasferita in Siberia, infine a Ekaterinburg, cuore della Russia rivoluzionaria. Le speranze di un esilio sicuro si spensero rapidamente: i bolscevichi, temendo che i controrivoluzionari potessero liberarli, decisero di eliminare ogni possibilità di restaurazione monarchica.

Quella notte, lo zar e la sua famiglia furono svegliati con il pretesto di un’imminente evacuazione. Condotti in una piccola stanza, vennero informati della loro condanna. Pochi istanti dopo, un plotone d’esecuzione aprì il fuoco. Le urla, il fumo e il caos riempirono la stanza: molti dei colpi rimbalzarono sui corsetti rinforzati con gemme e diamanti cuciti nei vestiti delle granduchesse, costringendo gli assassini a finirli con le baionette. I corpi furono poi gettati in una foresta vicina, bruciati con acido e nascosti in fosse poco profonde, nel tentativo di cancellare ogni traccia.

Per decenni, il destino dei Romanov rimase avvolto nel mistero e nella propaganda sovietica. Solo nel 1979 un geologo dilettante scoprì casualmente una fossa comune nei pressi di Ekaterinburg, ma la verità emerse solo nel 1991, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Le analisi genetiche confermarono che i resti appartenevano a Nicola II, alla zarina Alessandra e a tre delle loro figlie. I corpi mancanti dello zarevic Alessio e della granduchessa Maria furono ritrovati nel 2007 in una seconda sepoltura, a pochi chilometri di distanza.

Nel 1998, ottant’anni dopo la tragedia, i Romanov ricevettero finalmente degna sepoltura nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo, accanto agli altri imperatori di Russia. La cerimonia di Stato, trasmessa in tutto il Paese, segnò la riconciliazione della Russia con il proprio passato. Nel 2000, la Chiesa ortodossa russa canonizzò Nicola II, Alessandra e i loro figli come “portatori della passione”, riconoscendo in loro non solo il sacrificio di una famiglia, ma il simbolo di una nazione ferita e divisa.

La fine dei Romanov resta una ferita aperta nella memoria collettiva russa. È la fine tragica di un mondo antico, ma anche un monito eterno contro l’odio ideologico che, in nome di una presunta giustizia, può trasformare gli uomini in carnefici e cancellare intere epoche di civiltà.