Nella pianura bergamasca, verso la fine dell’Ottocento, alcune famiglie di contadini vivono insieme in una cascina di proprietà di un padrone. Lavorano la sua terra in cambio di una parte del raccolto e di un tetto sopra la testa. Le giornate iniziano prima dell’alba e finiscono al tramonto, tra campi, stalle e fatica. Ogni famiglia ha la propria storia, ma tutte condividono la stessa povertà, la stessa fede e la stessa rassegnazione di chi sa che nulla appartiene davvero a sé.
C’è Batistì, un uomo buono e silenzioso, con una moglie devota e diversi figli. Un giorno, uno dei bambini rompe uno zoccolo tornando da scuola. Senza scarpe, non può più andarci. Batistì allora, per risparmiare i pochi soldi che ha, decide di tagliare un albero vicino al fiume e di ricavarne il legno per farne un nuovo paio di zoccoli. È un gesto piccolo, quasi naturale, ma l’albero appartiene al padrone. Quando l’uomo viene a sapere dell’accaduto, non ammette spiegazioni: la regola è la regola. Batistì e la sua famiglia vengono cacciati dalla cascina, costretti a lasciare la comunità e la terra su cui avevano sempre vissuto.

Intorno a loro si intrecciano altre vite: Stefano e Maddalena, due giovani che si sposano e iniziano una nuova esistenza con entusiasmo e timore; la vedova che vive di stenti e di preghiere; il nonno che si prende cura degli animali e parla poco, ma osserva tutto con occhi saggi; i bambini che crescono in mezzo al lavoro, alle stagioni e alle preghiere della sera. Tutti vivono sotto lo stesso cielo, nella stessa miseria, ma anche con lo stesso senso di appartenenza.
Non c’è dramma urlato né eroi. Solo la vita vera, quella che scorre lenta, fatta di gesti ripetuti, di sacrifici e di piccole speranze.
L’albero tagliato per uno zoccolo diventa il segno di un mondo dove la povertà non lascia margine all’errore, e dove la giustizia dei poveri non vale di fronte alle regole dei ricchi.