Una recensione di un libro che vuole cambiare il modo in cui guardiamo il mondo**
C’è un’immagine, nelle prime pagine di Capitalismo cannibale, che funziona come un pugno nello stomaco: il capitalismo contemporaneo è come un uroboro, il serpente che divora la propria coda.
Per Nancy Fraser, una delle più influenti filosofe critiche del nostro tempo, questa non è solo una metafora brillante: è la diagnosi di un sistema programmato per mangiare tutto ciò che gli permette di esistere — società, natura, lavoro umano, istituzioni democratiche.
Il suo libro, potente e lucido, è un tentativo di mappare le crepe profonde del nostro presente, mostrando che le crisi che viviamo — pandemia, precarietà, catastrofe ecologica, razzismo strutturale, collasso democratico — non sono eventi isolati ma sintomi di un’unica malattia sistemica.
Un capitalismo che divora tutto: le quattro ferite
Fraser introduce l’espressione “capitalismo cannibale” per indicare un modello sociale che si alimenta distruggendo le sue stesse condizioni di sopravvivenza. E lo fa individuando quattro grandi ferite, quattro campi saccheggiati dall’economia orientata al profitto:
1. La ferita della cura
Il capitalismo vive sulle spalle del lavoro umano non pagato o sottopagato: la cura dei figli, degli anziani, delle persone fragili, ma anche il lavoro domestico e comunitario.
Fraser mostra come questo immenso “ecosistema di cura” venga continuamente spremuto e svalutato, fino a portarlo al limite del collasso.
2. La ferita della natura
Dalla rivoluzione industriale ai disastri climatici contemporanei, la logica del profitto ha trasformato il pianeta in una risorsa inesauribile — che però non lo è.
L’estrazione senza limiti, la distruzione degli ecosistemi, le emissioni incontrollate: Fraser vede nella crisi ecologica la prova più evidente che il capitalismo divora ciò di cui ha bisogno.
3. La ferita della democrazia
Il capitale ha bisogno dello Stato per funzionare — infrastrutture, diritto, servizi — ma allo stesso tempo tenta costantemente di indebolire lo spazio politico che potrebbe limitarlo.
Il risultato è una democrazia svuotata, incapace di governare il mercato, schiacciata da lobby, tecnocrazie e ricatti finanziari.
4. La ferita della vita sociale
È la ferita più sottile: il modo in cui il capitalismo assedia il senso stesso del vivere insieme.
Precarietà, debito, competizione, alienazione: tutto congiura a erodere la possibilità di una vita ricca di relazioni, di creatività, di tempo non mercificato.
Uno dei contributi più importanti di Fraser è il rifiuto di ridurre il capitalismo a un semplice sistema economico.
Per lei è un ordine sociale completo, un modo di strutturare i rapporti tra economia, società, natura e politica.
E questo ordine — scrive Fraser — funziona grazie a un meccanismo di predazione istituzionalizzata:
il capitalismo “ufficiale” accumula valore monetario divorando valore non monetizzato prodotto da tutti gli altri.
In altre parole: ciò che dà profitti a pochi consuma la vita di molti.

Capitalismo cannibale è un libro che non cerca scorciatoie.
Non offre soluzioni immediate, né si rifugia nella nostalgia di un passato idealizzato.
La forza di Fraser sta proprio nella capacità di rendere visibile ciò che spesso rimane invisibile: i “pilastri nascosti” che permettono al sistema di continuare a funzionare, dalla cura al lavoro riproduttivo, dalla biodiversità alle istituzioni pubbliche.
Ed è qui che la sua analisi diventa politica nel senso più alto:
solo riconoscendo ciò che il capitalismo divora possiamo immaginare un’alternativa.
Perché leggere
Viviamo in un tempo in cui ogni crisi viene trattata come un incidente isolato: una pandemia “imprevista”, un’ondata di calore “straordinaria”, una recessione “improvvisa”.
Fraser ci invita invece a vederle come manifestazioni di una stessa logica cannibale.
Per chiunque voglia capire la genealogia profonda del presente — da sinistra o da destra, da dentro o fuori l’accademia — questo è un libro indispensabile.
Non consola, non addolcisce.
Ma offre un linguaggio nuovo per parlare delle nostre ferite.
E forse, proprio per questo, è il primo passo per immaginare come guarirle.