Tra i silenzi dei castelli romagnoli, dove il vento di mare porta profumo di sale e di peccato, Francesca da Polenta visse promessa a Gianciotto Malatesta, uomo d’arme, duro, più fedele alla spada che al cuore.
Ma fu Paolo, il fratello, a farle tremare l’anima. Bello, gentile, cortese: un sorriso che sapeva di primavera dopo un inverno troppo lungo.
Fra loro l’amore nacque come nasce il fuoco da una scintilla: in un istante, e per sempre.

Un giorno lessero insieme la storia di Lancillotto e Ginevra.
Le dita si sfiorarono, le parole divennero sospiri, e quando “quel libro” parlò del bacio tra i due amanti, Paolo tremò — e tremò Francesca.
E fu il bacio, il primo e l’ultimo della loro vita viva.
“Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse” — e il destino prese la penna.
Ma l’amore non si nasconde all’occhio dell’odio.
Gianciotto, tornato improvviso, li scoprì insieme.
In un lampo di furore — la gelosia è cieca, e il ferro è veloce — trafisse Paolo, poi Francesca, che cercava di proteggere con il corpo l’uomo che amava.
Caddero così, l’uno sull’altra, uniti nella morte come nella colpa.
Il sangue mescolato fu il loro ultimo vincolo terreno.
Secoli dopo, nel vento infernale del secondo cerchio, Dante li vide ancora avvinti, trascinati insieme da una bufera senza fine, simbolo del desiderio che travolge e condanna.
E il poeta, vinto dalla pietà, svenne come corpo morto cade, perché comprese che l’amore — anche quando sbaglia — resta cosa troppo umana e troppo divina per essere soltanto peccato.