Il 31 maggio la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha negato a Blocher con successiva conferma dell’11 giugno (e chi poteva aspettarsi altro da gente che da anni ciancia di concordanza, scaccia in malo modo il consigliere federale del partito di larga maggioranza per sostituirlo con una ministra che mi vergogno di dover sopportare come presidente della Confederazione) l’immunità parlamentare sul caso del fu presidente della Banca nazionale Hildebrand. Blocher è finito sotto inchiesta da parte di un procuratore in capo zurighese, tale Andreas Brunner, che ha ordinato niente po’ po’ di meno che una perquisizione del domicilio privato di Blocher, previa convocazione di televisione di parastato e stampa per dare il necessario risalto alla sua intemerata, anzi addirittura eroica intrapresa. Un comportamento anomalo, indice di personalità affetta da protagonismo compulsivo.

Nel riportare la notizia della decisione della Commissione suddetta il corrispondente da Berna del quotidiano sopracenerino ricorda che gli «intrighi» di Blocher hanno portato alle dimissioni di Hildebrand, vittima innocente e pura, suppone o vuol lasciare intendere, di transazioni finanziarie discutibili effettuate dalla moglie. Il giornalista, di cui non mettiamo in discussione l’onestà intellettuale (è sempre attitudine privata, ed ognuno ha un diritto intangibile alla propria) rinuncia, probabilmente per necessità giornalistica di concisione, a dire che quella della moglie si è rivelata essere una fandonia bella e buona spudoratamente sostenuta alla televisione di parastato da Hildebrand in un disperato tentativo di salvarsi. Ci informa poi il quotidiano sopracenerino, per la stessa penna, che Blocher, «pure di fronte a un procedimento penale, non ha nessuna intenzione di lasciare il Parlamento». Come invece dovrebbe fare un galantuomo, parrebbe sottintendere il corrispondente da Berna.

La presidente della Commissione affari giuridici del Consiglio degli Stati, Anne Seydoux, ha spiegato che non spetta al singolo parlamentare esercitare il ruolo di sorvegliante dell’attività della Banca nazionale e dei suoi dirigenti. Fabio Abate, autorevole membro della stessa Commissione, sempre sul quotidiano sopracenerino, è draconiano: «La sorveglianza sulla Banca nazionale compete ad organi ben precisi e non a singoli deputati». Non dice chi siano gli organi ben precisi, ma è lecito supporre che si tratti in primo luogo del Consiglio di amministrazione della stessa Banca nazionale, poi del Consiglio federale e per finire del Parlamento federale. Quest’ultimo, grazie all’anomala composizione del Consiglio degli Stati (i cosiddetti borghesi di centro preferiscono far eleggere un socialista piuttosto che un democentrista), è da tempo costretto o ridotto, politicamente parlando, all’accidia. Vediamo allora cosa hanno fatto gli altri due «organi ben precisi».

Il Consiglio di amministrazione ha dapprima assolto con formula piena il direttore Hildebrand, poi ha chiesto una perizia contabile sulle transazioni finanziarie dello stesso Hildebrand. Ne fu incaricata PricewaterhouseCoopers, un ufficio di revisione contabile e consulenza fiscale ed economica di estensione e reputazione mondiali, ufficio che partorì un rapporto, frettoloso e superficiale, che definirò di compiacenza solo per usare un eufemismo, comunque tale da gravemente compromettere la credibilità dell’azienda. Solo quando fu messo di fronte a prove irrefutabili, il presidente del Consiglio di amministrazione della Banca nazionale Raggenbass ed i suoi colleghi cambiarono atteggiamento, e Hildebrand fu così costretto alle dimissioni. Non fu lui dimissionare, in realtà fu per forza di cose dimissionato proprio da quel Consiglio di amministrazione che lo aveva difeso oltre il limite della decenza. Il Consiglio federale, per bocca della sua ineffabile presidente, difese Hildebrand fino all’ultimo minuto, quan do le «marachelle» dello stesso erano già comprovate.

Adesso aspettiamo tranquillamente che la giustizia faccia il suo corso. È per noi increscioso dover constatare che ancora una volta ci si trova di fronte a procuratori la cui smania di protagonismo è inversamente proporzionale alle doti di riservatezza, prudenza e pacatezza che non posseggono.
I nostri parlamentari a Berna hanno inghiottito quasi senza esitare lo strazio inflitto al segreto bancario quando il Consiglio federale fornì su gentile richiesta degli USA i nomi di 4.500 incolpevoli detentori di depositi presso l’UBS: adesso disquisiscono virtuosamente di un fatto unico che ha permesso di evidenziare le malefatte di un altissimo funzionario statale, non rilevate dai «ben precisi organi di sorveglianza».

Le opinioni ed i giudizi differiscono. Rimane, incontrovertibile e consolatoria, almeno una certezza: Hildebrand, eticamente indegno del posto che occupava, spudorato mentitore di fronte a tutto il Paese, costretto da fatti e non da parole alle dimissioni, si gode tranquillo 12 mesi di immeritate vacanze con i relativi 995’000 franchetti pagati da noi contribuenti. Chi ha denunciato le sue malefatte che agli «organi ben precisi» (Fabio Abate dixit) erano clamorosamente sfuggite, si ritrova nei pasticci. Per trafiggere la giustizia si ricorre al diritto: una pratica in cui i politici sono maestri, in presenza come in assenza di «organi ben precisi di sorveglianza».

* presidente onorario UDC

pubblicato nel Corriere del Ticino di giovedì 21 giugno