Pochi giorni orsono l’Ufficio di Statistica cantonale ha presentato un’interessante studio dal titolo “Libera circolazione: gioie o dolori?”. L’analisi effettuata dai ricercatori Fabio B. Losa, Maurizio Bigotta e Oscar Gonzalez, aveva per obiettivo la valutazione degli impatti sul mercato del lavoro svizzero dell’abolizione della priorità d’impiego ai lavoratori indigeni.

Riprendendo la sintesi di tale pubblicazione è possibile ricavare le seguenti informazioni:

In giugno 2004 nell’ambito della progressiva applicazione dell’Accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone è stata abolita per i cittadini comunitari (UE17/AELS) una delle disposizioni cardine su cui sino ad allora si era fondata la politica svizzera d’immigrazione, ossia la priorità d’impiego accordata alla forza lavoro indigena rispetto alla manodopera estera di nuova venuta. Nel caso delle regioni di frontiera, questa disposizione aveva consentito alle autorità di regolare il flusso di frontalieri in base ai bisogni dell’economia e nel rispetto del diritto prioritario al lavoro degli indigeni. Dalla sua applicazione ha trovato origine l’accezione di funzione di cuscinetto congiunturale che la manodopera frontaliera ha svolto nelle regioni di confine nel corso degli ultimi decenni.
Questo studio opera una valutazione quantitativa degli impatti di questa misura di deregolamentazione nelle regioni di confine svizzere (rispetto alle regioni interne, selezionate quale gruppo di controllo), determinando il cosiddetto effetto medio sugli esposti in termini di posti di lavoro e di salari della forza lavoro indigena. Risponde, con metodo scientifico e risultati estremamente robusti, a due quesiti:
1. La maggior libertà di assumere manodopera frontaliera nelle zone di confine svizzere ha generato effetti negativi in termini di perdita di posti di lavoro e crescente disoccupazione – frutti della sostituzione della manodopera locale con pendolari d’oltreconfine, in genere più flessibili e meno costosi – o piuttosto ha stimolato la crescita economica e con essa l’impiego (anche) di forza lavoro locale?
2. La deregolamentazione ha condotto ad un livellamento verso il basso dei salari oppure gli stimoli di crescita sono stati tali da indurre – almeno a medio termine – un incremento delle retribuzioni della componente indigena?
Quesiti di rilevanza sociale, economica e politica considerati l’elevata esposizione delle zone di confine ai flussi migratori e la conseguente sensibilità sociale e politica, il ruolo giocato dalla manodopera frontaliera nei mercati locali e il valore simbolico di questo bastione della politica migratoria svizzera.


I risultati complessivi sono i seguenti:

In estrema sintesi si può affermare che la soppressione della priorità ai lavoratori indigeni ha avuto impatti positivi e negativi – quindi gioie e dolori – a dipendenza dei rapporti di complementarità rispettivamente di sostituzione che la nuova offerta di lavoro frontaliera esplica rispetto alle componenti indigene nei vari mercati del lavoro regionali. Ha generato posti di lavoro, e quindi crescita economica, accanto a perdite di posti di lavoro (quindi disoccupazione) e scemate opportunità d’impiego; ha prodotto incrementi salariali accanto a freni ai loro percorsi di crescita.
Per quanto attiene all’evoluzione globale dei posti di lavoro l’analisi conclude che:

• Complessivamente, a fine settembre 2005 la misura ha cagionato nelle zone di frontiera una perdita di oltre 40.000 posti di lavoro (pari ad un variazione relativa di –1,5%);
• La riduzione dell’impiego totale sottende una contrazione della componente svizzera (-2,4%, vale a dire 49.477 posti di lavoro in meno) accanto a una crescita di posti di lavoro occupati da donne straniere residenti (+3,9%, pari a a quasi 9.000 nuovi posti di lavoro).
• L’impatto negativo sull’impiego della componente svizzera, che ha riguardato praticamente tutti i rami economici, ha accomunato uomini e donne: per i primi si è trattato di una perdita netta di quasi 31.000 posti di lavoro (-2,6%), per le seconde invece di opportunità d’impiego che non si sono realizzate a causa della deregolamenta- zione (-18.549 impieghi pari a -2,1%).


Scendendo a livello cantonale, per quanto attiene ai salari locali, i ricercatori affermano

Nel suo complesso la deregolamentazione ha stimolato una crescita dei salari dell’ordine di +0,8%, pari a 55 franchi in più al mese (misurata a fine ottobre 2006).
• Hanno invece subito la misura tre gruppi di salariati delle zone di confine per i quali la maggior concorrenza e la maggior presenza frontaliera hanno determinato una minore crescita delle retribuzioni rispetto a quanto si sarebbe registrato senza la deregolamentazione: si tratta dei giovani (-1,0%), di coloro che occupano posti a qualifiche medie (-0,5%) o posti senza funzioni di quadro (-0,7%).
• Anche dall’analisi regionale emergono vincenti e perdenti: da un lato vi sono Neuchâtel, Ginevra e l’aggregato dei due semicantoni basilesi, che registrano incrementi salariali del +6,2%, +5,3% e +1,7%; effetti nulli emergono invece nei cantoni Vaud e Zurigo; mentre in Ticino la deregolamentazione ha generato una perdita salariale dell’ordine di -1,9% (pari a -114 franchi al mese).
• In Ticino impatti negativi sono stati registrati sui salari delle donne straniere, con addirittura un -6,9%, e su quelli di altri quattro gruppi: 25-49enni, salariati con formazione secondaria, con qualifiche medie e con funzioni di quadro.


Per la prima volta in una valutazione scientifico-statistica si ha il coraggio di parlare apertamente di effetto di sostituzione tra la manodopera indigena e i frontalieri, fenomeno denunciato da chi poi era sistematicamente tacciato di populista, e sempre negato dalle autorità cantonali e federali. Un altro mito sfatato è quello che la manodopera frontaliera occupa posizioni che gli svizzeri non intendono più ricoprire. Lo studio evidenzia infatti che la componente frontaliera in Ticino compete sempre più con profili e figure professionali aventi qualifiche medie e alte e con funzioni di quadro.

Insomma in Ticino son dolori sia per quanto attiene alla perdita di posti di lavoro causati dalla libera circolazione che per la diminuzione dei salari, sempre a discapito degli svizzeri o degli stranieri residenti.

Alla luce di quanto sopra, presentiamo i seguenti quesiti:

1. Il Consiglio di Stato è oggi convinto che nel nostro Cantone esista un effetto di sostituzione della manodopera indigena con lavoratori frontalieri?
2. Quale opinione ha il Consiglio di Stato in merito alla libera circolazione delle persone e all’abolizione della priorità d’impiego alla forza lavoro indigena?
3. Il Consiglio di Stato intende far pressione sulle autorità di Berna affinché tengano in dovuta considerazione gli effetti negativi della libera circolazione sul nostro Cantone? Il Consiglio di Stato chiederà una compensazione degli stessi magari chiedendo che si tenga conto di quanto sopra a livello perequativo?
4. A livello cantonale, quali misure intende mettere in campo il Consiglio di Stato per arginare queste preoccupanti derive del mercato del lavoro ticinese, in particolar modo per quanto attiene alla discesa dei salari?


Gruppo parlamentare UDC
Marco Chiesa, Gabriele Pinoja, Orlando Del Don, Lara Filippini, Eros Mellini