Una massima espressione del concetto di sostenibilità, si ha quando  un composto, anche di difficile smaltimento, da elemento di scarto diviene una risorsa utile per generare nuove attività ed ecco che portiamo l’esempio della lolla di riso, considerata inizialmente elemento inutile di scarto, come una nuova risorsa fruibile, riciclabile, fonte benessere per la Terra e le sue creature.

Lolla-di-riso

La lolla, scarto della sbramatura del riso, è l’insieme dei gusci dei singoli chicchi. In Italia se ne producono ogni anno dalle 260.000 alle 280.000 tonnellate, oggi utilizzate in alcuni casi per la produzione di lettiere destinate agli allevamenti e in buona parte bruciate negli impianti a biomasse.
Negli ultimi tempi, tuttavia, si stanno cercando strade per valorizzare la lolla in modo più sostenibile, a partire dal suo utilizzo nel settore del vivaismo.
In Veneto, nel 2011 è partito il progetto FloSo, con l’obiettivo, di individuare e testare sul campo dei sostituti più sostenibili alle due risorse non rinnovabili su cui si basa oggi la coltivazione di piante ornamentali: la torba e la plastica dei vasi. Nel caso del substrato in cui cresce la pianta, la lolla può rimpiazzare, in quantità variabile, la torba a secondo delle necessità della pianta. Ma la lolla può essere anche la materia prima di vasi biodegradabili e compostabili, in grado di non sgretolarsi dopo pochi giorni. Nel progetto FloSo si è deciso di testare i vasi Vipot, prodotti unendo il 15% di aggreganti vegetali all’ 85% di lolla di riso, la cui cementazione dei componenti è catalizzata da pressione e calore elevati.
Non ci sono quindi scarti nella produzione Vipot e inoltre il processo di stampaggio e formatura garantisce basso ridotto spreco di energia poichè avviene a temperature minori che quelle per le normali plastiche.
I contenitori sono totalmente naturali, biodegradabili, smaltibili attraverso i processi anaerobi tipici del residuo organico, senza contare che hanno dimostrato di funzionare bene tanto quanto quelli in plastica, di avere un maggior isolamento termico tanto che le stoviglie domestiche in questo materiale, si possono introdurre in microonde, forno, frigorifero e lavastoviglie.
Per il vasellame ad uso florovivaistico, è utile avere delle accortezze nella gestione dell’acqua: il materiale, essendo biodegradabile, assorbe l’umidità ed è più poroso così che è necessario irrigare più spesso.

Chi ha ideato questi vasi in lolla?
I vasi in lolla sono stati inventati al Centro di Ricerca Agrozootecnica di Zhuhai, vicino a Hong Kong, alla fine degli anni Novanta, e sono protetti da un brevetto internazionale. La società bresciana TotalPackaging, fornitrice dei vasi per FloSo, sviluppa e commercializza in esclusiva i prodotti a marchio Vipot in tutta Europa.
Per adesso i contenitori in lolla di riso sono ancora prodotti in Cina, ma presto potrebbero diventare a chilometro zero: “Vorremmo aprire uno stabilimento in Italia, sicuramente in una zona produttrice di riso: stiamo pensando al Piemonte, in particolare all’area del vercellese”, spiega Marco Baudino, AD della società.

I vantaggi per l’ambiente
I contenitori in plastica sono molto usati nel florovivaismo ma il loro uso seriale causa un’elevata produzione  di materiale plastico che deve poi essere smaltito dai produttori o dal consumatore finale.
Pertanto, il ricorso a contenitori biodegradabili può contribuire a migliorare questo punto critico del settore.
Le esperienze condotte per valutare i contenitori in lolla di riso hanno prodotto risultati incoraggianti, ma sono ancora limitate e nella florovivaistica questa tipologia di contenitori non è entrata nell’uso comune.
«Lo scorso dicembre in Italia sono stati venduti 20 milioni di stelle di Natale in vasi di plastica, il 90% dei quali è stato gettato, sia nello scarto dei produttori sia da parte dei consumatori finali. Ogni chilogrammo di plastica trasformata in vasi per il florovivaismo richiede 1,4 kg di petrolio, con la conseguente emissione di 0,5 kg di gas serra (in equivalenti di CO2). Se tutti utilizzassero vasi Vipot, che si gettano nel compost, eviteremmo di mandare al macero milioni di vasi in plastica», conclude Baudino.

di Gianna Finardi