Questo articolo, pubblicato il 16 dicembre us nel Corriere, a suo tempo fece scalpore, suscitando anche vive rimostranze. Lo rilanciamo oggi qui. Sarà seguito domani da un recentissimo articolo di Iris Canonica e Pio Eugenio Fontana. Come si dice e si auspica solitamente: “per aprire un dibattito”…

Pamini Nataliya Giovanna M xLe stragi di venerdì 13 novembre a Parigi e ultimamente in California sono solo un ultimo esempio di come la violenza omicida possa sorprendere chiunque all’improvviso. I moventi possono essere molteplici, pensiamo anche ai semplici pazzoidi di certe scuole americane. Cosa fare?

La soluzione più semplice contro tali episodi è forse contro-intuitiva, ma sostenuta dalla storia e dall’esperienza: favorire il più possibile la circolazione di armi e facilitare il libero porto d’armi tra i civili. In Svizzera abbiamo ottime premesse per un approccio del genere, perché siamo tra i primi paesi al mondo in fatto di densità di armi nella popolazione. Secondo Wikipedia, che riporta una statistica del Washington Post del 2012, in Svizzera abbiamo quasi 46 armi da fuoco (compresi i FAss negli armadi di ogni soldato svizzero) ogni 100 abitanti. C’è chi arriva ad ipotizzare che qui da noi vi siano fino a 60 armi ogni 100 abitanti.

Immaginiamo di essere al Bataclan o al Petit Cambodge il mese scorso. Immaginiamo che come noi altri ospiti abbiano la propria pistola con sé. Immaginiamo infine che nella scuola dell’obbligo vi siano regolari lezioni di tiro. Sembra strano? Ricordiamo che qui da noi da più di 100 anni si insegna a qualsiasi maschio svizzero a servirsi di un’arma da fuoco, a portarle assoluto rispetto, a conservarla a casa propria e a mantenerla sempre in funzione. Anzi, per chi è in servizio attivo si verifica pure che la usi almeno una volta all’anno. Chiediamoci: ci attenderemmo più o meno vittime di quanto sta tristemente riportando la stampa?

Da sempre, le armi personali (non quelle degli eserciti) hanno di gran lunga una funzione difensiva anziché offensiva. Nei secoli scorsi la spada indicava l’uomo libero, e solo servi e schiavi non erano autorizzati a portarla. Le armi non sono criminogene, così come le automobili non uccidono i pedoni. In entrambi i casi, è un determinato uso che uno ne fa che causa vittime.

Negli Stati Uniti, poiché la regolamentazione sulle armi da fuoco è di competenza degli Stati, si possono confrontare gli effetti di differenti politiche. L’approccio più restrittivo proibisce alla popolazione civile (ma non ovviamente ai criminali) il porto d’armi, quella parzialmente liberale lo permette a patto che si mostri l’arma in pubblico (pertanto lasciando capire quando una potenziale vittima è disarmata), mentre quella più liberale permette addirittura di dissimulare le armi. Orbene, i dati mostrano per esempio che negli Stati con divieto di porto d’armi i ladri entrano armati in casa anche in presenza delle famiglie, mentre negli Stati con libero porto d’armi i furti avvengono tipicamente nelle ore di assenza dei proprietari.

La miglior garanzia di pace e libertà è una popolazione armata, capace di utilizzare l’arma in caso di necessità, regolarmente allenata al tiro, che ne ha un profondo rispetto e che non la considera un giocattolo bensì garanzia di libertà e di protezione contro la massima violazione della proprietà del proprio corpo. Non a caso, da sempre, le dittature sia di destra sia di sinistra hanno come prima misura disarmato la popolazione per evitare ribellioni.

Considerati certi cupi segnali nell’Europa attorno a noi, si potrebbe seriamente pensare di introdurre in Ticino corsi di tiro nella scuola dell’obbligo e negli anni fino alla maturità. D’altronde da tempo in Svizzera i giovani tiratori imbracciano con molto rispetto il fucile militare d’assalto già a 17 anni, ed in età ancor più giovane ci si può avvicinare al tiro con armi ad aria compressa. Il tutto in nome della difesa della nostra libertà.

Paolo Pamini
Economista, Istituto Liberale