The Deer Hunter (1978)

Una serie televisiva intitolata “Il Guardiacaccia”, in 5 puntate, è andata in onda negli scorsi giorni su LA1.

Il presidente della Federazione cacciatori ticinesi Fabio Regazzi, fortemente indignato, ha scritto una lettera di fuoco al direttor Canetta. (ndR) La risposta più probabile che, secondo noi, giungerà dai piani alti di Comano sarà: “Valuteremo…”

“Stando alle intenzioni dichiarate dalla RSI si sarebbe dovuto trattare (e citiamo dal sito) di una “serie in cinque puntate dedicate alla caccia”. Dopo aver seguito – non senza una certa fatica – tutti e cinque gli episodi mi vedo costretto, a nome dei cacciatori ticinesi (e non solo), ad esprimere tutta la nostra delusione, rabbia e indignazione per come è stato affrontato il tema della caccia.

Tralasciando l’interpretazione dei vari personaggi presenti in questa serie (che definire inconsistente è un eufemismo) e alcune pacchiane imprecisioni emerse, ad essere inaccettabile è soprattutto il fil rouge dei cinque episodi in cui la caccia viene sistematicamente associata al bracconaggio, il tutto inserito nel solito banalissimo schema dei buoni contro i cattivi, o delle guardie e ladri da serie TV americana (d’altra parte non c’è da sorprendersi, visto che il protagonista a cui si ispira la serie è un ex guardiacaccia, noto per i suoi metodi piuttosto spicci e l’atteggiamento spesso inquisitorio nei confronti della categoria di cacciatori). Nessuno vuole negare, a scanso di equivoci, l’esistenza del bracconaggio – che per altro la FCTI deplora e combatte – ma esso rappresenta un fenomeno circoscritto e limitato a pochi casi all’anno e peraltro in costante diminuzione. Siamo anche coscienti che alcuni casi evocati sono realmente accaduti decenni orsono, per quanto in circostanze e con modalità diverse da quelle presentate.

Ma il punto è un altro. La caccia è un fenomeno molto complesso, una passione dalle radici profonde che suscita reazioni molto emozionali sia in chi la pratica che nel resto della popolazione. Realizzare una fiction in cui vengono proposti solo episodi deplorevoli e condannabili con protagonisti dei cacciatori non poteva, a meno di essere degli sprovveduti o peggio ancora in mala fede, che provocare una levata di scudi da parte di chi, e sono la stragrande maggioranza, pratica la caccia in modo corretto, nel pieno rispetto delle leggi e delle regole dell’etica venatoria.

Ma l’aspetto ben più grave è quello dell’immagine che è stata fatta passare nel pubblico: accomunando i bracconieri ai cacciatori (definiti nel 4° episodio come “squali accecati dal sangue”) e lasciando intendere che quest’ultimi sono da considerare alla stregua di criminali disposti a tutto per abbattere una preda, persino dediti all’alcol, capaci di sparare anche a un guardiacaccia o addirittura di uccidere una ragazza inerme (e in questo caso, visto che al peggio non c’è limite, è stato davvero toccato il fondo). Per il telespettatore che ha avuto il coraggio e la pazienza di guardare tutte le puntate, alla fine risultava in effetti difficile fare una distinzione fra un cacciatore e un bracconiere.

I cacciatori ticinesi non si meritano di essere trattati in questo modo da parte dell’ente radio-televisivo pubblico, che ha utilizzato risorse finanziarie importanti (fra l’altro sarebbe interessante sapere quanto è costato “Il Guardiacaccia”…) per realizzare una fiction, oltre che di livello francamente mediocre, che ha fatto passare una visione falsata e distorta della figura del cacciatore. Ma ad essere travisato è stato anche il ruolo dell’Ufficio Caccia e Pesca e degli stessi guardiacaccia, le cui mansioni non si riducono a quelle di gendarmi della caccia come è emerso nella serie televisiva, ma spaziano nelle importanti ed apprezzate funzioni di sentinelle della natura che prestano attenzione agli indicatori biologici, provvedono alla raccolta di dati sul terreno (censimenti) per la pianificazione della caccia, ad abbattimenti di capi di selvaggina malati, al monitoraggio delle catture e al rilevamento dei dati biometrici delle stesse, sono state ingiustamente ignorate.

Questo, ci dispiace doverlo sottolineare, non è buon servizio pubblico e nemmeno un impiego oculato delle risorse generate dal canone radio-TV, che per altro anche i cacciatori contribuiscono a finanziare. Il danno purtroppo è fatto e di questo riteniamo ovviamente responsabile la RSI contro la quale valuteremo la possibilità di adire le vie legali, a tutela dell’immagine e della dignità dei cacciatori ticinesi. Da parte nostra il minimo che in ogni caso pretendiamo sono delle scuse ufficiali all’indirizzo di chi pratica la caccia in modo leale e corretto, ma soprattutto con tanta passione.”

Fabio Regazzi