L’invecchiamento della popolazione è diventato, principalmente nel mondo occidentale, uno dei temi essenziali  della società.

Premesso che la definizione di “anziano” sta cambiando radicalmente – il confine si è spostato da 65 a 75 – è innegabile che la vita si è allungata di molto. Persino il numero dei centenari è in forte aumento. Si pensi che in Giappone, ad esempio, mezzo secolo fa gli ultra centenari  erano 327. Una esigua minoranza.

Nel 2017 sono diventati ben 67.824… Persino il governo ha dovuto correre ai ripari. Al compimento dei cento anni donava un bicchiere d’argento il cui peso è ora stato ridotto drasticamente. La certezza è che, sempre in Giappone, è ormai scientifico, la metà dei neonati di oggi camperà fino a 100 anni.

Recentemente alla lettura di un classico sul’argomento, “The hundred years life” di Lynda Gratton, il Governo giapponese ha deciso di  creare un comitato di studio ad hoc, il “Comitato per disegnare la societa’ dei 100 anni”, composto da studiosi, burocrati e politici per approfondire un tema che per il Sol Levante è della massima importanza.

Perché lo è?  in primis perché il Giappone ha un tasso di natalità di 1,32 figli per famiglia. Come sostiene l’Ocse, se un paese ha tale tasso al di sotto di 2,0 è destinato a una riduzione della popolazione; a meno che compensi il declino  con una immigrazione qualificata. Non è il caso del Giappone che considera intellettualmente difficile,  se non impossibile, “mischiare” la popolazione.

In secondo luogo, se diminuisce la popolazione e il rapporto giovani/anziani si deteriora, ne patisce l’economia del paese stanti le norme che regolano il termine dell’attività lavorativa. Che fare quindi? Il  governo ha allo studio un piano per un nuovo progetto di immigrazione temporanea.  Fare venire lavoratori dall’estero ma con un limite di permanenza massimo di 5 anni. Di integrazione e concessione di nazionalità non se ne parla nemmeno. Ma comunque non basta.

Di fronte a questi problemi il suggerimento dato dal “Comitato” è di cambiare sostanzialmente il concetto di società e di puntare su riforme sostanziali che mirino ai seguenti obbiettivi:

ù  Tenendo conto che gli “elderly”- nella rinnovata definizione – hanno più di 75 anni ne consegue che nella fascia fra i 63 ed i 75 anni  i “non anziani” possono essere utili al paese. Il suggerimento e di “reimpiegare” i pensionati con un contratto a condizioni diverse dalle precedenti  ma con nuovo limite di  70 anni e oltre.

Il progetto è fattibile perché, tenendo conto dell’alto valore della cultura del lavoro nel Paese, lo stato di salute, oltre  anche alla necessità di integrare le modeste pensioni, la voglia di lavorare è forte.

Le inchieste d’opinione sostengono peraltro  che il 35 per cento dei lavoratori vuole continuare a lavorare  fino ai 70 anni e il 40 per cento a oltranza  finché ci sono energie.

2) Puntare e investire con l’appoggio statale sui settori dell’assistenza agli anziani; con 1/3 della popolazione al di sopra dei 65 anni (circa 40 milioni di cittadini…..), c’è una possibilità di business enorme.  Case per anziani attrezzate e moderne che non siano l’anticamera del cimitero, attrezzature sportive. E anche la ri-educazione degli anziani. : sia per tenerli integrati nel mondo del lavoro che per vivere meglio e  con interessi vivi.

3) Puntare sulla robotica, domotica,  tecnologia applicata  e tutte le scienze moderne che possano aiutare le imprese – con meno  mano d’opera disponibile – a mantenere la produzione ed aumentare la produttività. La curva di “Smiley”, cioè stare sull’alto valore aggiunto dei prodotti o servizi, deve continuare ad  essere il criterio guida per l’economia..

Il Giappone, sappiamo, è il Paese che più di tutti invecchia fra quelli avanzati e quindi  può essere – pur tenendo conto della diversa cultura – una fonte di ispirazione anche per noi nel vecchio mondo che, fra pochi anni, saremo nella stessa condizione.

Il Sol Levante, in sintesi, ha capito che l’invecchiamento è un problema: ma anche un’opportunità.

Vittorio Volpi