Pyongyang – Foto Pixabay

Nell’aprile 1989 ero a Pyongyang, capitale della Corea del Nord. Solo, ma accompagnato da degli angeli custodi.  A loro avevo chiesto,  fra tante cose,  di andare a teatro, se ci fosse stato qualche spettacolo. Mi trovarono un posto per vedere il dramma “La ragazza dei fiori”, ovviamente il testo e le musiche “scritte” dal monarca rosso Kim Il Sung. Ebbi due sorprese: ero l’unico straniero fra due mila donne (in hanbok il  costume tradizionale) che si asciugarono le lacrime per due ore. Il dramma-storico era molto tragico,  crudele e commovente.

La seconda sorpresa fu che  che compresi che il  vero nemico dei coreani non erano gli USA come si poteva immaginare,  bensì il Giappone. Pensavo  che non essendo il Giappone coinvolto nella tragica guerra civile (1950-1953), il terribile periodo coloniale giapponese fosse ormai metabolizzato e dimenticato.

E invece no! Ultimamente l’inimicizia Nippo-Coreana è esplosa in forma virale con conseguenze negative nella collaborazione economico-politica-culturale e Dio sa come finirà.

Sembrava tutto finito nel 1998. In ottobre il Premier Kim Dae-jung,  poi premio Nobel, si era recato  a Tokyo dove con il Primo Ministro Keizo Obuchi (conservatore) aveva firmato  un accordo che chiudeva per sempre i conti con il passato;  perlomeno, avrebbe dovuto archiviare un capitolo della storia.

Kim dichiarò che “meno di 50 anni di problemi fra i due paesi non potevano annullare una storia di 1500 anni di collaborazioni e scambi”. Obuchi invece sostenne  che il Giappone sentiva un “profondo rimorso e che offriva le scuse dal profondo del cuore”.

L’accordo scongelò i blocchi, soprattutto verso i giapponesi. Film nipponici poterono essere proiettati in Corea ed il turismo fece un boom. A controprova, insieme i due paesi ospitarono la Coppa del Mondo di calcio. Sembrava quindi tutto rientrato, ma non fu così.

La scintilla che riaprì le ostilità è recente.

Un tribunale coreano ha condannato aziende giapponesi presenti nel periodo coloniale (1910-1945) a pagare danni pesanti. Il tutto in contrasto con gli accordi del  1968 del 1998 e del 2015 con i quali la Corea aveva accettato e chiuso con i contenziosi del passato.

Il Presidente Moon Jae-in non è intervenuto sul grave problema perche’ spesso accusato dai media di essere  un pro-Giappone. Non altrettanto pero’ da parte giapponese.

Il Premier giapponese Shinzo Abe  ha replicato con una misura pesante:  una proibizione di export control che vietava l’esportazione verso il “paese della calma del mattino” di prodotti chimici preziosi per l’industria dei semiconduttori coreana.

E come  contro rappresaglia a Seoul hanno  stracciato  un trattato sulla condivisione di “intelligence” fra i due paesi e hanno disposto  uno stanziamento di 6,5 miliardi di dollari per creare aziende chimiche per un “made in Korea” . Per eliminare la dipendenza  dalle aziende giapponesi.

Tutto ciò aveva senso a 74 anni dalla fine della guerra mondiale? Eppure il Giappone aveva, ha, rapporti fluidi con paesi occupati colonialmente   come Indonesia, Taiwan, Filippine, etc. Il problema questa volta e’ stato  frutto dei media.

Sorprendentemente è apparso all’orizzonte il suo potere.  Una casa produttrice di moda, la Marymont ha lanciato  sul mercato un prodotto, delle borse per cominciare, ingaggiando una popstar (Bae Su-ji) con un  logo che ricordava le “confort women”. Queste furono le  “schiave del sesso” coreane sfruttate  per soddisfare i militari giapponesi. Da anni il problema latente era dibattuto con il Giappone che aveva stanziato fondi e  si era scusato  più volte.

La Marymont nel 2015-2017 ha accresciuto il suo fatturato di ben 5 volte… riversando  fondi per i movimenti che rivendicavano compensi a favore delle anziane signore ancora in vita. La grande sorpresa è che da nessuna parte al mondo  i nipoti lottano per le nonne. I prodotti Marymont sono destinati ai  giovani teenagers coreani che non hanno vissuto e nulla sanno della guerra.

Perché questo fenomeno?  Secondo lo storico Bruce Cuming, i giapponesi hanno gestito il periodo coloniale “con dei coreani”. Cio’ ha creato  una frattura sociale che dopo la guerra civile (1950-1953) è continuata con i “Chabebol”, i conglomerati potenti del Paese.

I cui leaders  non vennero scelti con meritocrazia.  Quindi i giovani ritengono che i conti con il passato non siano chiusi. Gli accordi del 1968 con il “tiranno” Park Chung Hee e quelli con sua figlia, Premier Park Geun Hye nel 2015, sono considerati privi di consenso popolare e quindi illegittimi.  Di conseguenza il contenzioso con i giapponesi non e’ chiuso…

È presumibile quindi che le cose non siano  destinate a migliorare presto.  Cosa grave  e’ che  Corea e Giappone sono i migliori alleati degli USA, in una zona geografica calda. E la marea di disappunto e’ ora da tutte e due le parti.

I sondaggi dicono che mentre in passato le impressioni negative coreane ( verso i giapponesi)  superavano quelle giapponesi (verso i coreani), ora non è più così. I giapponesi non sono contenti che  a Seoul riaprano  il vaso di Pandora sulle storia del secolo scorso (dove loro sono gli incriminati).

Vittorio Volpi