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L’altro giorno commentando la notizia dell’Ufficio federale di statistica che annunciava l’ennesimo calo del numero d’aziende agricole, un addetto del Sopraceneri mi diceva che avevamo dimenticato di sottolineare come in Ticino il territorio agricolo continua a diminuire e questo fatto genera il vero problema, mentre un altro contadino del Sottoceneri si lamentava che gli appezzamenti rimasti da lavorare sono piccoli e frastagliati e, laddove vi sono ancora importanti comparti agricoli, gli Uffici della protezione della natura continuano a estendere vincoli.
Sono due commenti che si prestano a fare capire la frustrazione degli addetti del settore e a cercare le origini di questa difficile situazione territoriale.

La perdita immensa di territorio agricolo è avvenuta con la prima generazione di piani regolatori risalente agli anni Ottanta. Fu sottratto talmente tanto territorio che ancora oggi, in questa fase di tassi d’interesse bassi e di boom edilizio, gli agricoltori si vedono privati di grandi parcelle che, nonostante si situassero in zona edificabile, avevano potuto continuare a lavorare per decenni.
C’è poi stato l’insediamento delle infrastrutture principali, ultima dopo la A2 è AlpTransit.
Il problema del fondovalle urbanizzato oggi è riconosciuto da tutti, tant’è che di nuove zone edificabili, rispetto a prima, se ne rilasciano con il contagocce.

Sorprendente è che l’agricoltura non sia riuscita ad assicurarsi il rimanente territorio agricolo, oggi sempre più in balìa di restrizioni naturalistiche.
Questa situazione è specchio del disorientamento del ticinese raggiunto negli anni del boom, sommerso, da vie di comunicazione internazionali, dal successo edilizio di Cantone turistico col clima mite, dal successo legato all’effetto frontiera che ha portato finanza e manodopera a buon mercato, il ticinese ora è trincerato in difesa ed è diventato scettico su tutto. Ha persino scordato un passato recente caratterizzato da ristrettezze e di emigrazione che hanno esaltato, in tutto il mondo, le sue capacità artigianali.
Questi fattori non sono sufficienti per spiegare il boom protezionistico-naturalistico che stiamo attraversando.
Non dimentichiamo che il nostro Cantone è da sempre un’oasi naturalistica eccezionale grazie a un’immensa superficie, più dell’80% del territorio, dimenticata alla natura, a boschi, a pascoli alpestri e superfici agricole, a corsi d’acqua, a laghi e montagne.
Sicuramente non ci aiutano le Leggi federali realizzate per situazioni diametralmente opposte. Al Nord delle alpi il territorio agricolo è quasi “una palla al piede” per le grandi eccedenze di latte e carne prodotte. Problema risolto anche attraverso restrizioni volte alla “protezione” della natura che, se applicate là non generano problemi particolari, mentre da noi ci massacrano.

Riscoprendo il valore intrinseco dell’agricoltura, quale natura produttiva di generi alimentari di qualità, risultato dell’operosità dell’uomo, del buon gusto, del progresso, del rispetto, e non limitandosi ad emanare sterili divieti totalmente a traino dell’ente pubblico, sfiducianti di chi lavora, il ticinese sorprendentemente potrebbe riappropriarsi del suo futuro e del suo territorio inaugurando un nuovo ciclo positivo, caratterizzato da qualità, buon gusto, un matrimonio tra innovazione tecnologica e tradizione.

Cleto Ferrari, Segretario agricolo e deputato Lega dei ticinesi