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Martedì sera, il ministro greco della Difesa ha licenziato i quattro capi dell’esercito (Stato maggiore, forze terrestri, forze aeree e Marina) oltre a una dozzina di alti ufficiali.
Ufficialmente questa decisione non è stata motivata, Fonti vicine al governo affermano che si tratta di un’operazione di routine, un normale avvicendamento ai vertici: “Questi incarichi dovevano essere cambiati ad agosto – ha spiegato l’analista politico Dimitri Bekiaris – ma le tensioni in Medio Oriente hanno generato un ritardo. I vertici delle forze armate non erano stati sostituiti dal precedente governo.”

La mancanza di spiegazioni da parte del ministro della Difesa lascia invece presagire uno scenario diverso. C’è addirittura chi ritiene che i vertici dell’esercito stessero preparando un colpo di Stato contro il governo e per questo sono stati allontanati.
Altri vedono nella manovra del governo una punizione per la mancanza di zelo che nelle ultime settimane ha contraddistinto le file dell’esercito.
A seguito della necessità di introdurre misure di austerità, i militari si erano visti ridurre i salari del 30%. Così avevano limitato al minimo il loro operato e nei recenti disordini ad Atene e in altre città avevano rifiutato di aiutare la polizia a contrastare i manifestanti.

Sul governo greco pesa un clima teso. Le manifestazioni e gli scioperi impediscono il buon funzionamento dello Stato. Nel paese tutto funziona al rallentatore e questo nuoce alla completa messa in opera delle misure di austerità imposte dall’Unione europea e dal Fondo monetario.
Il premier Papandreou sa in quale difficile situazione si trova: la maggioranza in governo gli fa opposizione e non accetta di avallare i progetti di legge previsti dalle riforme necessarie per accedere agli aiuti finanziari. Il popolo non ha più fiducia in lui e da più parti vengono chieste le sue dimissioni.
Così ha deciso di mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità: il Parlamento dovrà avallare il referendum da lui proposto oppure le riforme richieste da UE e FMI. In caso contrario il paese fallisce.
Quanto alla popolazione, dovrà decidere – attraverso il referendum – se accettare o meno gli aiuti europei. In un caso o nell’altro lui non sarà più il diretto e unico responsabile di quello che potrà accadere.

(Ticinolive.ch/Le Figaro.fr)