È morto nella sua casa di Milano all’età di 91 anni il noto giornalista Giorgio Bocca. Autentica icona della Sinistra, implacabile fustigatore dei vizi degli italiani, è stato per decenni uno dei protagonisti del giornalismo nazionale.

Nacque a Cuneo nel 1920. I suoi genitori erano insegnanti. Dopo alcuni anni passati nella GUF (Gioventù Universitaria Fascista) dopo l’8 settembre 1943 aderì alla lotta partigiana come co-fondatore e comandante di divisione nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Nell’imminenza della fine della guerra divenne commissario politico e, quale responsabile dei tribunali del popolo, firmò alcune condanne a morte.

Bocca incominciò a scrivere da adolescente e continuò a scrivere per tutta la vita, senza mai fermarsi. Dopo la guerra lavorò per la Gazzetta del Popolo, quindi per L’Europeo e Il Giorno. Negli anni Sessanta divenne un celebre inviato speciale. Nel 1975 sostenne che l’esistenza delle Brigate Rosse fosse in realtà una favola raccontata agli italiani dagli inquirenti e dai servizi segreti. Qualche anno più tardi rivide pubblicamente queste sue posizioni. Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui da allora collaborò ininterrottamente.

Bocca è autore di numerosi libri, nei quali analizza la crisi sociale italiana che – nella sua interpretazione dei fatti – negli anni Settanta generò il terrorismo. Il suo percorso politico fu alquanto accidentato. Fascista – come detto – in gioventù (nel 1942 addirittura scrisse un articolo nel quale attribuiva la colpa dell’ormai evidente disastro militare a una “congiura ebraica”), divenne partigiano e capo partigiano.

Nei lunghi decenni del dopoguerra fu – pur con alcune variazioni di linea – sempre una penna di sinistra, acerrimo avversario del potere democristiano e, poi, di Craxi. “Lei sa che io non La stimo” gli scrisse una volta pari pari. Infine, ovviamente, di Berlusconi. L’ultimo Bocca era pervaso da una sorta di “pessimismo cosmico” che alla fin fine non salvava nessuno, neppure l’amata Sinistra.

Intervistato da l’Espresso, nel 2007, dichiarò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia.