Ha lasciato di stucco molti il fatto che la difesa del tasso di cambio minimo del franco svizzero rispetto all’euro non abbia finora comportato alcun significativo aumento delle riserve valutarie detenute dalla Banca nazionale.
I motivi sembrano essere sostanzialmente due. Il primo fattore è la credibilità dell’annuncio dello scorso 6 settembre, nel quale i dirigenti del nostro istituto di emissione avevano dichiarato di essere disposti a stampare quantità illimitate di franchi per acquistare euro e quindi difendere il tasso di cambio di 1,20.
Il secondo motivo, ancora più importante, è che la scelta dei tempi si è rivelata particolarmente felice. Essa ha infatti coinciso con un certo qual raffreddamento della crisi dell’euro e quindi con una minore pressione al rialzo sul franco svizzero, che non ha costretto la Banca nazionale ad acquistare grandi quantità di euro e quindi ad accumulare riserve valutarie denominate in euro.
Le ragioni di questo repentino cambiamento della situazione sul mercato dei cambi restavano comunque piuttosto incomprensibili, anche perché nei mesi precedenti la BNS aveva invece dovuto stampare una grande quantità per acquistare euro nell’inutile tentativo di frenare l’impennata della nostra valuta. Il mistero è stato in parte svelato grazie ad uno studio del gruppo bancario HSBC.
La corsa verso il franco non sarebbe stata tanto determinata dalla fuga di molti investitori dall’euro, ma soprattutto dai minori investimenti in attività estere da parte di grandi società svizzere e dal rimpatrio di ben 54 miliardi di franchi da parte dei grandi istituti bancari elvetici impegnati a ridurre la loro esposizione in attività estere.
E sono stati proprio questi movimenti dei capitali a determinare il rialzo del franco e a rendere vani i tentativi della BNS di frenarne l’ascesa.
Lo studio di HSBC mette pure in rilievo che dopo la decisione della BNS di definire un tasso minimo di cambio, ossia nel terzo e nel quarto trimestre dell’anno scorso, gli investitori stranieri hanno venduto (e non acquistato) franchi. Svelato il mistero, ci si deve ora interrogare se terrà anche in futuro la linea Maginot stabilita dalla nostra banca centrale. I segnali non sono molto incoraggianti.
I dubbi sulla tenuta dell’euro, che stanno riaffiorando, fanno di nuovo aumentare la pressione sul franco svizzero.
Addirittura prima della scorsa Pasqua il franco è sceso per un brevissimo lasso di tempo sotto il tasso di cambio minimo, costringendo le nostre autorità monetarie a venire allo scoperto per ribadire che sono disposte a tutto per difendere questa linea Maginot. Un altro segnale da non trascurare è che da alcune settimane il franco viene scambiato a poche frazioni di centesimo al di sopra di 1,20.
Insomma, la situazione di bonaccia rischia di cambiare radicalmente, come sembrano già indicare questi segnali.
Essi sono infatti un sintomo del riacutizzarsi della crisi dell’euro a causa dell’esaurirsi degli effetti benefici degli oltre 1.000 miliardi di euro iniettati nel sistema bancario europeo dalla BCE e del sempre più evidente fallimento delle politiche di austerità imposte ai Paesi in difficoltà che stanno facendo sprofondare le loro economie in una recessione sempre più profonda.
A tutto ciò si aggiunge la crescente insofferenza di larghi strati della popolazione alle scelte di rigore imposte da Bruxelles, come è chiaramente emerso dai risultati delle elezioni presidenziali francesi.
Tutto ciò induce a pensare che le condizioni favorevoli, che hanno finora favorito il compito della BNS , stanno cambiando, e che nel prossimo futuro la difesa di questa linea Maginot rischia di diventare molto costosa.
Alfonso Tuor
(pubblicato il 27 aprile 2012 sul Corriere del Ticino – per gentile concessione dell’autore)