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Giornale di car­ta o elettronico? È aperto il dibattito sulla resistenza del­la cara, vecchia pagina di fronte al­le schermate rapi­de e voluttuose del web.

Uno potrebbe dire che è come struggersi per la nera cornetta telefonica appesa al mu­ro, posto unico domestico di comuni­cazione, chi chiamava sapeva esatta­mente dove eravamo mentre oggi dicia­mo a ogni istante nel cellulare «pronto dove sei?».
Il mondo cammina, le au­tomobili rombano e inquinano ma nes­suno tornerebbe alle diligenze.
Però, pe­rò. Ci sono progressi evidenti che sosti­tuiscono vecchie cose con nuove (nes­suno tornerebbe al telegrafo se c’è il mail) e progressi innovativi che aggiun­gono cose ad altre che giustamente esi­stono e resistono.
La fotografia non ha abolito i dipinti, il cinema non ha abo­lito il teatro, la televisione non ha abo­lito il cinema. Eccetera. E dunque viva la carta stampata, con il caro fruscìo nervoso o pigro delle pagine, per non dire dell’odore intenso dei libri.
Poi le impressioni ce le scambieremo magari per mail, o cercheremo la biografia del­lo scrittore o l’articolo perso su Internet.

Scriveva tempo fa Giuliano Ferrara, il quale peraltro mette ogni giorno anche su schermo il suo bel quotidiano: «Ac­cettare l’evidenza, ovvero l’acquisita vit­toria del web, della tv ma anche del semplice cellulare nel campo dell’infor­mazione in tempo reale, significa dav­vero organizzare funerali anzitempo per il quotidiano comprato in edicola? Noi pensiamo di no. Il giornale di car­ta e inchiostro, selettivo per necessità, è un’opportunità sperimentata e inimi­tabile. È sangue che circola, è carta che canta. La sua presa sul mondo non si è indebolita, è solo cambiata, forse in meglio».
D’accordissimo. Però la paro­la scritta, che segna e rintocca, perma­ne e si avvolge e si distende ed entra in circolo nelle vene come un vino, la si può leggere, oltre che su carta, anche sul web: è una questione di metodo e di tecnica, non di sostanza.
E tuttavia anche la fisicità cartacea, l’inchiostro nero sul bianco, il contatto tattile con la pagina sono un avvenimento cui non vogliamo rinunciare.

Nicoletta Tiliacos, giornalista anche lei convertita alla let­tura elettronica, riconosceva nondime­no che «c’è un modo di essere di chi sfo­glia il quotidiano invece di cliccarlo, un modo d’essere che sarebbe orribile ve­der sparire.
Insieme con quelle fanta­stiche discussioni in famiglia tra chi leg­ge il giornale squinternandolo e chi lo vorrebbe a sera ancora perfettamente compatto, come appena comprato. È una dignitosa variabile alla querelle su come spremere il tubetto di dentifricio. Non sarebbe bello rinunciarci».
Sotto­scrivo. Ormai, come molti e soprattut­to dentro questo nostro mestiere di pa­role veloci da leggere e scrivere, mi so­no anch’io attrezzato e viaggio spesso sullo schermo piatto dell’I-Pad.
Ma ap­pena posso bramo la carta, così impe­gnativa e ingombrante, così pronta a diventare, dopo la lettura, disordine in casa e cartaccia di cui liberarsi. Ma co­sì amica all’occhio e al tatto.
Il giorna­le cartaceo ha un suo volume, un’este­tica nello spazio, si sporca di caffè a co­lazione, cade giù dal letto a notte, gira nei bar assieme ai croissant, viene pie­gato, dispiegato, ce lo rubiamo o prestiamo, appartiene a un rito che la no­stra civiltà conosce da mezzo millen­nio.
Cliccare e sfogliare, un bel compro­messo da imparare. L’importante, mi pare, è continuare a leggere.

Michele Fazioli

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 21 maggio 2012 – per gentile concessione dell’autore