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Ogni tanto faccio le grandi pulizie fra i detriti di fogli, note, pagine di giornali che lascio in giro per casa e in ufficio nell’illusione che un giorno mi possano servire. E quasi mai servono a qualcosa, il tempo è galantuomo in molti modi.

Neofita della lettura su schermi (sto imparando adagio, entusiasta e diffidente, soprattutto maldestro) frequento ancora moltissima carta. E allora ogni tanto butto via, felicemente (in attesa di altra carta ingombrante che avrà la vita delle farfalle).
Stracciando, ho ritrovato tuttavia alcune frasi sparse che mi dispiaceva affidare al tritacarte: ci ho fatto sopra due pensieri e prima di spegnerle le consegno dunque a questa rubrica che poi finirà, anch’essa, nel cestino.
E proprio a proposito della molta carta, c’è anche quella straripante dei libri. Si ha un bel dire “ah, i nostri cari libri, compagni di vita!”. Ma la bulimìa editoriale ci sta schiacciando. Fra la lettura bella, libera, quietamente scelta e l’inondazione indiscriminata di libri passa la stessa differenza che c’è fra la degustazione e l’alcolismo.

Avevo serbato una frase del critico Antonio Armano: “In Italia non tutti hanno un libro sul comodino ma molti hanno un romanzo nel cassetto. Pochissimi leggono, moltissimi scrivono”.
Ho pensato alla recente e straripante moda dei libri autobiografici e memorialistici scritti dai divi del pallone e della tv (se vendono bene, beati loro, questa settimana in testa alle classifiche dei libri più venduti c’è l’autobiografia di Alex Del Piero) ma persino da pensionati i quali, ritrovatisi fra le mani più tempo, invece di spenderlo nel guardare leggere ascoltare vivere, si buttano su una sterminata prosa per raccontare infanzia giovinezza avventure carriere.
Ottima operazione psicologica, affettiva e persino proustiana. Il guaio è che molti, invece di tenere per sé quelle amate carte, trovano un editore (quasi sempre a pagamento), pubblicano e poi ci affliggono con la pretesa che noi li leggiamo.

Resto in tema e vi ricopio un pensiero dello scrittore caraibico Edouard Glissant: “In certi Paesi si vendono dei libri per qualche mese all’anno, si celebrano premi e brevi stagioni letterarie. Ma la letteratura non è moda, è un’altra cosa.
Ci sono altri Paesi dove alla sera i contadini, dopo aver smesso gli abiti di lavoro, intonano attorno al fuoco canti poetici. Questa è letteratura.” Bello, no?
C’è più letteratura in certi racconti mormorati da vecchi declinanti al bagliore di un fuoco (nomadi nel deserto notturno, nonni davanti al camino) che in certi libri squillanti ed effimeri.
Altro ritaglio a proposito della smania – anche bella – di molti per il viaggio, la dislocazione in altri lidi, le migrazioni vacanziere, gli esodi.
A parte il grande Pascal (“tutti i problemi dell’uomo nascono dalla sua incapacità di rimanere fermo fra le quattro mura della sua stanza”), avevo trovato una frase bella di Orazio: “Mutano cielo, ma non lo spirito, coloro che corrono per il mare”.
Diceva bene, duemila anni fa: per quanto solchiamo terre e acque, per quanto ci avventuriamo in lande nuove fuggendo da quelle vecchie, portiamo dietro con noi i desideri e i crucci di sempre, lo struggimento, le tempeste o la pace e la natura unica di cui siamo dotati.
Dovrò ripensarci, perché poi so bene anche gli stupori di certi viaggi e il rintocco che certe luci nuove fanno risuonare dentro l’animo, forse cambiandoci un poco. “L’uomo ama la sedentarietà ma si strugge per i viaggi”. Questa è mia.

Michele Fazioli

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 29.5.2012 – per gentile concessione dell’autore