La Svizzera e la sua importante piazza finanziaria sono ormai da anni al centro degli attacchi di paesi esteri e di organismi sovranazionali, in una guerra economica –finalmente riconosciuta da quasi tutti- che vede però i rappresentanti istituzionali del nostro paese muoversi con armi spuntate, ma soprattutto senza una strategia e una vera volontà di contrattaccare. Basti pensare agli innumerevoli e rapidi cedimenti nei confronti di Stati esteri e di organismi sovranazionali, di cui ha dato prova in primis il Consiglio Federale ogni qualvolta venivano avanzate delle richieste. Le concessioni fatte a Bruxelles e a Washington hanno messo sotto lo zerbino alcune prerogative del nostro paese, al punto da minarne, almeno parzialmente, la stessa sovranità , senza neppure una contropartita reale e senza reciprocità. Organismi sovranazionali come l’OCSE o il G20 (che non rappresentano alcuna volontà popolare e sulla cui legittimità istituzionale ci sarebbe altresì molto da dire) e potenze come gli Stati Uniti e l’UE hanno lanciato pesanti minacce, guardandosi bene dal fare altrettanto con Singapore, con le isole del Canale ecc.

A partire dal marzo 2009 (quando la FINMA ha autorizzato UBS a trasmettere alle autorità statunitensi informazioni su 250 clienti US della banca), si à assistito ad un crescendo di concessioni a scapito della nostra piazza economica, dei nostri interessi e delle nostre specificità, in nome di un accordo globale con gli Stati Uniti. Nel frattempo, si sono aggiunte le trattative sulla doppia imposizione fiscale, con il progetto Rubik che rischia di trasformarsi in un autentico boomerang, contribuendo alla cancellazione di molti posti di lavoro e di asset nel settore bancario e finanziario, alla pericolosa contrazione di gettiti fiscali e alla perdita di attrattiva economica. Cose ben conosciute queste, che sono di nocumento per tutto il paese. Stanchi di assistere passivamente a questa sorta di capitolazione, nei confronti della quale anche la maggioranza del Parlamento federale ha grosse responsabilità, alcuni professionisti ginevrini (banchieri, gestori patrimoniali, avvocati ecc.) hanno deciso di reagire, creando, lo scorso 16 maggio, un’associazione denominata “Swiss Respect” (www.swissrespect.ch), che è stata presentata ufficialmente alla fine di giugno e che ha quali obiettivi precipui quello di lanciare un grido d’allarme (l’associazione ha già scritto al Consiglio Federale) e quello di difendere il modello svizzero.

Nel sito dell’associazione si trova diversa documentazione, fra cui il rapporto dello studio legale Hornung, presentato dall’avv. Douglas Hornung, in cui vengono spiegati la cronistoria nella trasmissione di dati alle autorità statunitensi, il ruolo della FINMA (ma chi controlla realmente questo organismo?) e quello delle nostre autorità politiche . C’è da mettersi le mani nei capelli, se si pensa che, secondo quanto riportato dall’avv. citato (ufficialmente, sui numeri reali e sulle basi legali di certe decisioni l’opacità regna sovrana), oltre alla trasmissione di dati su clienti statunitensi, ad oggi sarebbero stati trasmessi alle autorità Usa, con l’avallo del Consiglio Federale, dati su 10’000 (diecimila, mica dieci o cento) dipendenti, ex dipendenti e collaboratori esterni di vario grado di banche svizzere, immolati sull’altare di un fantomatico “accordo globale”. Che il problema cominci a farsi sentire lo si evince anche dalla lettera che l’ASIB (Associazione svizzera degli impiegati di banca) ha fatto pervenire ai suoi iscritti nei giorni scorsi, scrivendo che “la consegna all’estero di dati sui collaboratori” crea frequenti richieste da parte di impiegati di banca e di avvocati. In uno Stato di diritto, compito primario del governo è quello di proteggere i propri cittadini, non di metterli a rischio di procedure penali di paesi esteri.

Bisogna dirlo chiaramente. Quanto successo in questi ultimi anni non concerne però solo la piazza finanziaria e il cosiddetto “segreto bancario”-cioè la protezione della sfera privata dei clienti-, ma coinvolge un modello di società, che finora ha generato una diffusa prosperità, e un rapporto fra Stato e cittadino che contengono dei valori importanti e un marchio, anche culturale, del nostro paese. Alterare questi rapporti e questi modelli può portare a conseguenze gravi. Per questo, le sfide attuali sono molto serie e potrebbero avere conseguenze rilevanti per il nostro benessere. Più che dibattere sulla necessità di avere 7 o 9 consiglieri federali (magari per riuscire a piazzare un ticinese nell’Esecutivo) e al posto delle pastette politiche per mettere in ruoli chiave figure deboli, è necessario avere una leadership politica, degna di questo nome, in grado di portare avanti strategie a medio e lungo termine e di difendere fino in fondo le nostre prerogative.

Iris Canonica
già deputata in Gran Consiglio
12 luglio 2012