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Se di questi tempi i bancari e tutti i dipendenti della piazza finanziaria elvetica hanno di che preoccuparsi, gli altri cittadini non hanno molto da ridere. Dico questo perché la percezione nell’opinione pubblica della portata, anche in chiave prospettica, di quanto sta succedendo sulla piazza finanziaria e sul suo indotto non è sempre chiara e finora certi risvolti (riduzione dell’attività e del personale, diminuzione del gettito fiscale) sono in qualche modo apparsi attenuati e circoscritti.

Eppure, nella guerra economica contro il nostro Paese, gli attacchi sferrati da Stati esteri e da organismi sovranazionali sono stati tanto virulenti, quanto manifestamente efficaci, al punto di assistere da alcuni anni a continui e impressionanti cedimenti da parte del Consiglio federale (ancora ad inizio del 2009 il consigliere federale Merz andava dicendo che “il segreto bancario non è negoziabile”) e dell’establishment politico. Cedimenti plateali che hanno scalfito la nostra sovranità e che non coinvolgono solo il settore finanziario in quanto tale, ma anche il rapporto Stato-cittadino, le libertà e le responsabilità individuali, il nostro diritto, le condizioni quadro e alcuni valori che hanno forgiato e plasmato il modello svizzero.

Il cosiddetto segreto bancario, cioè la protezione della sfera privata, non concerne infatti solo l’ambito finanziario e questo è bene sottolinearlo. In un contesto mondiale con molti paesi flagellati da debiti pubblici insostenibili e con un’Europa in declino, non solo economico, la Svizzera è facilmente diventata una preda ambita. Rispetto a qualche anno fa, alcune condizioni strutturali sono evidentemente cambiate, ma questo non significa però che si debba cedere alle pressioni esterne ad ogni piè sospinto, senza contropartita e reciprocità (all’avvio delle trattative con l’Italia, non si è neppure riusciti a inserire la precondizione di togliere la Svizzera dalla famigerata black list). Peccato davvero che il referendum contro i trattati, targati Rubik, di doppia imposizione fiscale con Germania, Gran Bretagna e Austria, sia fallito e che i cittadini non possano dunque esprimersi. Sarebbe stata un’occasione di ulteriore approfondimento, mandando qualche chiaro messaggio a chi di dovere.

Chiuso il capitolo referendario, crea tuttavia un po’ di sconcerto sentire i rappresentanti delle associazioni mantello delle banche elvetiche lanciare perentori aut aut, sostenendo che senza questi accordi ci sarebbe solo il baratro. Diciamolo chiaramente: se già le prospettive per alcuni segmenti del settore bancario non sono effervescenti, in presenza di condizioni oggettivamente difficili (rallentamento congiunturale, crisi finanziaria ), l’arrivo di Rubik, così come presentato, rischia di provocare un vero e proprio salasso e una perdita di posti di lavoro, nonché una contrazione di asset e di gettiti fiscali. Bisogna evidentemente guardare avanti, ma di sicuro il tanto auspicato e ventilato riorientamento strategico delle attività, oltre che poco chiaro, non è concretizzabile in tempi brevi e, soprattutto, non assorbirà quanto perduto.

Con l’eventuale approvazione dei trattati, inoltre, le pressioni sulla Svizzera non cesseranno in alcun modo e alcuni ministri europei si sono già premurati di confermarlo – casomai qualcuno nutrisse dubbi al riguardo -, sottolineando che l’obiettivo finale resta lo scambio automatico d’informazioni (a più lungo termine l’omologazione del diritto elvetico a quello dell’UE). Più chiaro di così! Valeva allora la pena di prendere tempo ed elaborare delle vere risposte da parte di un Esecutivo federale che non ha invece trovato di meglio che sfornare la cosiddetta Weissgeldstrategie (strategia del denaro bianco o pulito), come se finora banche e collaboratori avessero sempre operato in maniera sporca e disonesta.

Un’assurdità! Le parole hanno significati precisi, assumendo anche in determinati ambiti pesi rilevanti, e questo termine, Weissgeldstrategie, concettualmente orribile e tatticamente perdente, pesa come un macigno. L’hanno capito bene le autorità statunitensi che, con le loro minacce, hanno fatto strame del nostro diritto, riuscendo, senza base legale, ad ottenere, con l’avallo del Consiglio federale, oltre ai nominativi dei clienti Usa di alcuni istituti elvetici sotto inchiesta negli USA, anche quelli di migliaia di bancari (ticinesi compresi, sissignori!), immolati sull’altare di un accordo globale di là da venire con il Paese nordamericano.

E intanto, per i bancari elvetici, può essere rischioso recarsi negli Stati Uniti! Negli ultimi giorni ho avuto modo di seguire in TV, su Teleticino ( “Piazza del Corriere”) e sulla RSI (“60 minuti”), due dibattiti sul futuro della piazza finanziaria ticinese, con ospiti a stragrande maggioranza favorevoli all’attuale posizione del Consiglio federale. Ebbene, la problematica summenzionata non è neppure stata sollevata. Strano? Purtroppo no.

Iris Canonica
Pubblicato nel Corriere del Ticino l’11 ottobre 2012