Mi scuserà il buon Terzani se prendo in prestito, per poche righe, il titolo del suo ultimo libro. Come lui sono cittadino italiano e, come lui, mi separano distanze siberiane dalla politica ufficiale e dal suo linguaggio; “il politichese”. Dicono che in primavera il bel paese tornerà alle urne, esercizio che a quelle latitudini ha perso ogni decenza e aspetto di necessaria necessità dai tempi della “balena bianca” democristiana e del Partito Comunista. Basta guardare le gesta delle ultime alleanze governative che, con inusuale stoicismo, hanno dovuto sopportare gli italiani delle classi non privilegiate.

Partiamo dall’ultima, quella del signor Monti che in poco tempo ha saputo andare ben oltre “il governo alla vaselina” (com’era stato definito) trasformandosi in un secchio di vaselina. Per lui è stato facile sostituirsi a uno screditato “cavaliere” e apparire come il salvatore della patria. Con manierismi e garbatezze, è riuscito a portare avanti gli interessi della classe cui appartiene (lui è un banchiere) e ha salvaguardato gli interessi di chi sta alle sue spalle. Il Paese è rimasto prima perplesso, ma un poco alla volta ha capito che Mario non faceva altro che far suo il programma di Silvio che, a sua volta, per una montagna di motivi personali non aveva avuto il coraggio di imporre. Capito questo ha anche compreso che la coppia non era sola.

Un terzo personaggio incalzava da tergo, quel Bersani già ministro dell’industria, del commercio, dell’artigianato, dei trasporti, della navigazione e dello sviluppo economico nei governi Prodi, D’Alema e Amato, fra il 1993 e il 1996. Un ex comunista (naturalmente si fa per dire) che ha le stesse vedute degli altri due. Anche Bersani è per il buco nella Valle di Susa, per i licenziamenti facili, lo svuotamento progressivo dello stato sociale, l’acquisto degli F35. In politica estera ha delle vedute che vengono da lontano; come il defunto Berlinguer sostiene di sentirsi più sicuro e protetto dall’ombrello atomico americano, anche se ne parla il meno possibile per ovvi motivi di “immagine” con la base del suo partito.

Sono questi i personaggi che quel che rimane del popolo italiano si troverà nella scheda elettorale. Una triade di moderni untorelli che, come scrive in rete Anna, un’indignata piemontese, “fanno finta di litigare, raccolgono voti divisi in varie fazioni, garantiscono le poltrone ai soliti noti e poi tutti a tarallucci e vino,… alla facciazza nostra!” Quando a primavera andrò a votare, nell’urna depositerò il senso figurato di queste ultime righe, convinto fino in fondo di aver fatto il mio dovere di cittadino amante del progresso sostenibile e della convivenza solidale e civile.

Carlo Curti, Lugano