Mi riferisco all’editoriale di Lino Terlizzi di mercoledì 23 gen­naio «A Davos tra rigore e crescita». È un dilem­ma che trae la sua ragion d’esse­re da un’interpre­tazione, a mio avviso errata, delle cause della crisi, l’ennesima dopo tutte quelle messe in campo dal 2008 a oggi.

Si è esordito incolpando i banchieri americani, spocchiosamente etichettati come de­gli sprovveduti per aver concesso mu­tui a persone che non offrivano le ne­cessarie garanzie, mentre le garanzie c’erano eccome: erano quelle delle due agenzie pseudo-private Fannie Mae e Freddie Mac, attraverso le quali il Go­verno americano (dunque lo Stato) aveva deciso di alimentare la bolla dell’illusionismo collettivo.
Poi, resisi conto che la crisi aveva di­mensioni assai più grandi di quelle ragionevolmente imputabili al disa­stroso interventismo statale sul ciclo economico americano e ai «prodotti» che l’ingegneria finanziaria ci aveva costruito sopra, si è presa al balzo la palla della Grecia, per riversare su quel Paese, che ha il PIL della Provin­cia di Treviso, la colpa del possibile dissesto finanziario europeo e mon­diale.
Dura da credere, e allora giù con Italia, Spagna e Portogallo. Ma non era abbastanza. Bisognava rinca­rare la dose con la paventata crisi dell’euro, che per quanto perversa, è comunque una fiat money come tutte le altre.

Perché l’euro ritornasse ad apprezzar­si anche sul franco è bastato che la BCE, con immediato riscontro positi­vo da parte delle Borse, che esultano ad ogni nuova iniezione di droga mo­netaria nel sistema, si comportasse per qualche giorno, e in minima par­te, come la FED si è comportata tra il 1.dicembre del 2007 e il 21 luglio del 2010, quando ha concesso prestiti in coriandoli verdi a grandi corporazio­ni e imprese del settore finanziario per un valore di 16 mila miliardi di dollari (più dell’intero debito pubbli­co dei 27 Paesi europei, che nel 2011 superava di poco i 10mila miliardi di euro), di cui circa tremila miliardi destinati a soccorrere grandi imprese ed entità finanziarie in Europa e Asia, tra cui, a quanto pare, anche UBS e Credit Suisse.

È vero che a pensar male si fa pecca­to, ma che spesso ci si indovina: non vorrei fosse questo il motivo inconfes­sabile di tanta acquiescenza del Con­siglio federale e delle due maggiori banche svizzere verso gli States.
Ce n’è quanto basta per capire che il proble­ma non è dato dai debiti sovrani, che sono sanabili dai monopolisti del de­naro (purché lo vogliano) con la stes­sa nonchalance con la quale hanno puntellato e continuano a puntellare un sistema finanziario altrimenti fal­lito.
I banchieri centrali questo lo san­no bene: tutto sarà sanato dai loro terminali di plastica grigia, dove il denaro a corso forzoso viene creato dal nulla cliccando su di una tastiera.
Questo ha un prezzo: espone le loro fiat money al rischio di liquefazione, ma non hanno altra scelta; rigore tar­divo e crescita modello Speedy Gon­zales non sono attualmente persegui­bili, né presi separatamente, né tanto meno insieme.

La crisi sconta l’uso dissennato che il sistema bancario ha fatto della riser­va frazionaria e il castello di cartacce e di scommesse che ci ha costruito sopra. Inutile girarci attorno incol­pando questo o quell’altro: la crisi è troppo estesa e il debito troppo gran­de perché le responsabilità dei mono­polisti della moneta possano essere riversate su pochi capri espiatori.
La linea tedesca sta fallendo non perché le intenzioni della Merkel non siano condivisibili, ma perché il rigore eco­nomico non può essere disgiunto da quello morale: se, per mantenere ar­tificialmente alta la crescita, si presta più denaro del risparmio disponibile e ci si confronta nel mercato a suon di svalutazioni competitive, il ciclo economico viene alterato nelle sue radici vitali e il rigore morale, dun­que anche quello economico, vanno a farsi friggere.

Credo dunque che, piuttosto che lace­rarsi in dilemmi irrisolvibili, per una volta convenga essere onesti con i cit­tadini, informandoli per tempo su co­me stanno realmente le cose e come sia importante riscoprire un convi­venza civile fondata sulla sussidiarie­tà e sull’aiuto reciproco prima che il crollo di mille certezze fondate sulla crescita continua ci colga impreparati per affrontarne, senza essere sopraf­fatti, le conseguenze.

Rivo Cortonesi
Segretario dei Liberisti Ticinesi