Corruttela: abbandono, per vizio, interesse o faziosità, della rettitudine e della dignità conferite da un mandato o da una carica.

Dell’incapacità genetica di troppi italiani (“perfetta impudenza” l’ha definita il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, 1788-1860) di un minimo di onestà intellettuale ci siamo resi conto da tempo seguendo giorno per giorno, tramite media stampati e elettronici o parlando con amici, quel che accade nel mondo della politica e delle istituzioni del paese amico e vicino. Questo deficit cromosomico si manifesta anche, in modo orripilante e ripugnante, nella magistratura. Quando, il 17 febbraio 1992, la procura di Milano emanò l’ordine di cattura di Mario Chiesa, a seguito di un’inchiesta che avrebbe poi ricevuto il nome pretenzioso di “Mani pulite”, milioni e milioni di cittadini, in Italia come all’estero, provarono un senso di soddisfatto sollievo: in poche settimane Saverio Borrelli e la sua cricca assunsero al rango di eroi nazionali. In particolare si mise in evidenza Antonio Di Pietro, giovane procuratore di incespicante facondia compensata da stakanovismo che definirò, per carità cristiana, paranoide.

Ma bastarono pochi mesi, agli osservatori distanti e ponderati, conoscitori della realtà del paese, per constatare con sgomento che c’era qualcosa che stonava: i colpevoli scovati in massa dai solerti inquirenti erano tutti di una determinata sponda politica. Di sinistra, e ancora di una sinistra fortemente scivolata a destra per quel che concerneva il proprio portafoglio, c’era solo Craxi, travolto in poche settimane per aver avuto la cattiva idea di scavalcare i comunisti nel conseguimento del potere. Di comunisti, che pur gestivano, per il fomite di “innocenti” cooperative, fondi milionari forniti da Mosca e intere regioni come l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria, in cui a nessuno toccava il becco di una lira se non apparteneva alla congrega, nemmeno l’odore.

Quando nel l994, se non erro, Berlusconi ebbe a sua volta una cattiva idea, scendendo in campo a contrastare l’oramai inevitabile, così sembrava, arrivo al potere dei compagni guidati da Occhetto, la sua vittoria scatenò nei magistrati che si riconoscevano nella nefasta e nefanda “Magistratura democratica” travasi di bile tali da totalmente obnubilare la loro capacità di discernimento. Resisi conto, con il passar del tempo, che il mostro di Arcore non si riusciva ad abbatterlo con la sola opposizione parlamentare più ostinata e irragionevole che mai si sia vista, gli indomiti magistrati “democratici” diedero inizio a una progressiva campagna di accanimento, adesso sfociata in una persecuzione giudiziaria che non ha eguali al mondo.

Di Pietro ha poi dimostrato in modo inequivocabile di quale onesta pasta fosse la sua essenza: per finire anche i più stupidi hanno capito e per lui è stata la fine. A fargli compagnia si è ritrovato, controvoglia, l’Ingroia, uno dei tanti, troppi procuratori d’assalto: procura angoscia il pensiero che un simile individuo potrebbe, grazie a regolamenti strampalati, tornare a fare il procuratore non appena lo volesse. Imperversa, impavida e imperturbabile, la Boccassini; sdraiata sulla montagna di ridicola panna montata in difesa del diritto al rispetto di una verginella, al momento del dramma minorenne per ancora poche ore, attacca a testa bassa come una torella(!) infuriata, e nulla la può distogliere dal suo intento. Ai processi a Berlusconi ha dedicato la vita, che le auguriamo ancora lunga.

Per i cittadini il dilemma amletico è adesso quello di dirimere se sono gli attacchi del PdL a compromettere il prestigio della magistratura o gli stessi magistrati più “democratici” degli altri a compromettere la loro istituzione con una persecuzione palesemente motivata solo dalla loro faziosità. Ognuno giudicherà naturalmente secondo la propria coscienza e più ancora secondo i propri pregiudizi, visto che anche noi comuni cittadini siamo fallaci esseri umani. Ma il fatto che Napolitano, dopo avere deplorato la protesta dei deputati PdL davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, abbia subito ritenuto necessario di convocare i vertici del CSM, consiglio superiore della magistratura, logicamente per una ramanzina a porte e bocche chiuse, auspicando poi un contegno più consono alle cariche ricoperte, la dice lunga.

E se ha proclamato che il leader della destra non va eliminato dalla politica italiana, è segno che si è accorto pure lui che è in atto un tentativo in tal senso. Come la dice lunga il fatto che un gruppo di magistrati abbia a suo tempo creduto di dover fondare una “Magistratura democratica”. E tutti i magistrati restanti, che non potevano ambire al prestigioso titolo democratico, cosa erano e sono? Fascisti? Servi del potere? O altro ancora? Magistrati inquirenti o giudicanti hanno solo da essere onesti, competenti, equilibrati, prudenti e ponderati, esenti da smanie di protagonismo e/o di giustizialismo. Dire di un magistrato che è democratico è pura insulsaggine. Il CSM, a maggioranza “democratica”, presieduto per norma dal Presidente dello Stato, ha sempre difeso a spada tratta, sin dai tempi dell’orribile Scalfaro, i suoi membri oggetti di critiche innegabilmente motivate.

Questa volta, esprimendosi per bocca del suo portavoce, vice-presidente Michele Vietti, ha affermato di voler ossequiare il chiaro richiamo di Napolitano. Il giorno seguente il plenum del CSM, urgentemente riunito, ha deciso all’unanimità di accogliere l’invito di Napolitano a “stemperare i toni”. Per i media scritti e elettronici di sinistra l’Uomo del Colle avrebbe scudisciato la protesta PdL, e solo quella, per la stampa di destra solo la magistratura. Per i quotidiani più autorevoli e influenti tutti e due. Per me è stato soprattutto una bacchettata sulle dita all’arpìa rossa del processo Ruby, che non si lascerà certo smontare, nel totale ossequio della sua “perfetta impudenza”.

Gianfranco Soldati