[Pubblico con piacere questo bel pezzo dell’amico Sergio – politico sì, ma quanto pieno di umanità. Vorrei dirgli (e gli dico) battendogli una mano sulla spalla: “Hai ragione, te gh’e resón, … ma nessuno ci può far niente!” La “madre di tutte le competizioni” ha rubato la scena a tutto il resto. Era prevedibile, lo si poteva scrivere prima? Beh, sì. (fdm)]

Sono sceso in Piazza Dante a Lugano tre sabati mattina, e penso che lo farò ancora per tre volte, ad aiutare i candidati di Area Liberale in campagna elettorale con il volantinaggio. Chiedere in prima persona, in questo caso il voto, ci costringe a gettare la maschera, a renderci dipendenti da un’altra persona. Insegna che senza gli altri e il loro aiuto da solo non ce la fai, che non vai da nessuna parte; insegna che per chiedere devi prima riconoscere che hai un bisogno e che questo bisogno non riesci a colmarlo da solo. Insegna che il tuo desiderio per essere compiuto dipende da altri.

Difficilissimo chiedere apertamente un voto, oggi che ogni voglia e capriccio uno se li soddisfa da solo. Difficilissimo attendere lo sguardo dell’altro, accettare la faccia che si gira dall’altra parte, la mano che si ritira, sentirsi dire di no, accettare che uno che conosci improvvisamente cambia direzione di marcia. Nel fare questo esercizio utile per me e per Area Liberale, ovvio lo si fa per avere qualche crocetta in più sulla lista di partito, però si imparano altre cose. Ad esempio che questa campagna elettorale è finita prima di iniziare essendo stata ridotta al voto pro Giudici o pro Borradori.

E’ impressionante entrando in contatto con le persone che transitano sulla piazza vedere come per prima cosa ti chiedano se sei per Giudici o per Borradori. Non c’entra il ceto o il censo, tutti e tutte lo chiedono! Provocatoriamente a volte rispondo che mi pare si debbano eleggere anche 5 altri municipali e non solo il sindaco. Cogli nello sguardo dell’altro lo smarrimento, spiazzato. Subito si riprende con un: “si ma però”. Non è molto diverso il discorso che nasce tra concorrenti quando si passa a salutare i colleghi delle bancarelle elettorali degli altri partiti. A Lugano c’è solo un tema: chi farà il sindaco. E poi una volta scelto il sindaco?

Un’altra cosa che mi ha colpito è come la stragrande maggioranza che si ferma a prendere il santino, la prima cosa che esprime è: speriamo che non vinca quello o speriamo che non vinca quell’altro. Prima ancora che sperare che vinca il proprio si spera che l’altro perda. Il passo successivo è logico: speriamo che quelli non ne facciano tre o speriamo che quegli altri non ne facciano tre. Se gli chiedi il perché, le risposte non arrivano. Infatti la maggioranza fuori dai calcoli partitici non sa bene, perché. Ecco a questo è ridotta la campagna nella città più importante del Ticino, nella città che diciamolo pure, e lo dico da bellinzonese, sta ancora per ora trainando il resto del Cantone e spero continui a farlo. Non si riesce a sviluppare qualche frase su un tema, su un problema che si ricade in questa logica. Ma la politica di cui Lugano e i ticinesi hanno bisogno è una sfida monarchica di questo genere?

Mi sorprende come i partiti che hanno esponenti nell’esecutivo e ottimi altri candidati siano anestetizzati e ipnotizzati da questa logica e non riescano a romperla. Non riescano a far emergere i loro altri candidati per il Municipio e soprattutto releghino involontariamente i 60 candidati pretendenti al Consiglio Comunale in una sorta di semplice fan club d’accompagnamento. Ma ragionevolmente è davvero possibile e fa bene alla democrazia una campagna senza dibattiti sulle idee, sui problemi e sui progetti coinvolgendo tutti i concorrenti? Emergono i personalismi (mediocri). Quando un elettore sa che i pretendenti sarebbero, secondo me ingiustamente, un “sughero” e l’altro “un supponente”, nonostante gli applausi e i tifi mediatici di parte, l’elettore si sente più tranquillo? Si gira dall’altra parte e dorme perché la città indipendentemente dagli altri 5 municipali è importante che non sia diretta dall’uno o dall’altro? Mah? Se la gara è tirata in questo modo è difficile poi che chi perde manterrà la ragione e lavorerà in funzione del buon governo e non per dimostrare che chi ha vinto non lo merita.

I partiti di Lugano, città laica e emancipata, paradossalmente chiedono all’elettore un atto di fede supportato da bordate incrociate di dogmi desueti, anziché un voto libero, maturo e razionale. Il livello della razionalità è pari a chiedere ad un passante se preferisce S. Silvestro o Capodanno. Un’ultima cosa. I concorrenti non sono colpevoli di questa situazione, loro fanno i concorrenti come meglio credono. I partiti, gli altri candidati e gli elettori sono un po’ meno innocenti lasciando che tutto prenda questa piega.

Sergio Morisoli, presidente di AreaLiberale