Almeno il sospetto è plausibile. Sul Corriere della sera di lunedì 29 aprile, la vignetta di Giannelli mostra un Letta sornione e compiaciuto che fa la croce nello scudo dell’ex “balena bianca” fra le scritte “18 aprile 1948-28 aprile 2013, Maggioranza assoluta”. Come dire: 65 anni e non è cambiato nulla. Questo non solo per abilità e meriti della DC, intendiamoci, anche l’opportunismo degli italiani e l’insipienza delle opposizioni parlamentari hanno dato un contributo decisivo. Da De Gasperi a Letta dunque, con la standing ovation di tutti i parlamentari senza grilli per la testa e la speranza (mia) che il neo presidente del consiglio non voglia competere con il suo illustre predecessore (otto governi di fila dal 1945 al 1953).

 

Ma vediamo chi si cela dietro la faccia da prete del novello primo ministro. Enrico Letta, classe 1966, nonostante ciò considerato “un giovane” nella politica italiana, è nipote di Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, il suo plenipotenziario. Cattolico, nutrito di cultura imprenditoriale, da sempre vicino al mondo confindustriale, vice presidente di Aspen istitute Italia dal 2003 (sorto in Colorado nel 1950 ha la sua sede centrale a Washington ed è finanziato dalla Carnegie Corporation, la Rockefeller Brothers Fund e la Ford Foundation), è membro del club Bilderberg assieme allo zio Gianni e fa parte della stessa Commissione Trilaterale.

 

Insomma non si è fatto mancare nulla: uomo di relazioni, la sua agenda è ben fornita. Collocato da tempo in tutti i posti che contano, quelle necessarie camere di compensazione situate nelle retrovie dove le élites occidentali s’incontrano riservatamente, anticipano strategie, elaborano accordi, creano un tessuto di relazioni e conoscenze dirette necessario alla gestione delle politiche, le governances, del capitalismo attuale. Enrico Letta ha l’aria di uno di quelli che ci stava già da piccolo, tanto si muove a suo agio in questo mondo felpato.

 

Ma c’è qualcosa di più che forse bisogna conoscere per capire meglio alcuni dei passaggi politici realizzati in questi ultimi giorni da questo grande tessitore della tela consociativa italiana, di quel «consociativismo bipolare» come le definisce Mauro Fotia nel suo, Il consociativismo infinito, Dedalo edizioni 2011 (un testo che andrebbe riletto alla luce di quanto è accaduto dal varo del «governo dei tecnici» guidato da Mario Monti alla nascita di questo esecutivo di «grande coalizione»). Enrico Letta è anche l’ispiratore di “veDrò”, un think tank bipartisan (letteralmente «serbatoio di pensiero» in inglese), “organismo, istituto, società o gruppo tendenzialmente indipendente che si occupa di analisi delle politiche pubbliche e di proposte condivise da forze di maggioranza e minoranza”, una specie di laboratorio per le élites, «nato – così recita la homepage del sito – per riflettere sulle declinazioni future dell’Italia e delineare scenari provocatori, ma possibili, per il nostro Paese.

 

Sulla scena dal 2005, la nostra è una rete di scambio di conoscenza formata da più di 4.000 persone: professori universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, politici, artisti, giornalisti, scrittori, registi, esponenti dell’associazionismo». Insomma la faccia accattivante del SIM(Stato Imperialista delle Multinazionali), quella sempre pronta a discutere con chicchessia a condizione che poi si faccia come vuole lei, quella degli utili stratosferici che permettono la distribuzione dei minuzzoli ai lavoratori, della BCE e del FMI, unici veri governanti di tutte le nazioni del mondo “libero”. Per interposta persona (i parlamentari) gli italiani hanno avuto il loro nuovo “timoniere”, dove potrà condurli ci è ignoto ma la sensazione che i tempi duri diventino insopportabili e che possa naufragare appena le acque si agiteranno un po’ è forte.

 

Carlo Curti, Lugano