Negli scorsi giorni in Svizzera è stato lanciato un concorso per rinnovare l’inno nazionale, risalente al 1841. Iniziative del genere hanno raramente successo, malgrado siano frequenti.

“L’obiettivo sarebbe quello di avere un testo più moderno e un ritmo più coinvolgente di quello attuale – ha spiegato la Società svizzera di pubblica utilità, associazione bicentenaria all’origine dell’iniziativa.
La Svizzera è uscita indenne da due tentativi di modernizzazione, nel 1986 e alla fine degli anni 1990. La recente proposta di rinnovo verrà sottoposta al governo nel 2015. A decidere sarà il Consiglio federale.

Non è la prima volta che si vede nascere un progetto del genere. Nel 2011 un gruppo di deputati austriaci avevano proposto di modificare alcune parole dell’inno. Ad esempio, la frase che dice che l’Austria è la patria dei grandi uomini. I deputati volevano aggiungere “e delle grandi donne”. La loro richiesta era stata bocciata.

“Con gli inni nazionali si tocca qualcosa di sacro, è dunque difficile modificarli senza arrecare pregiudizio alla nazione – spiega Anne-Marie Thiesse, autrice di La Création des identités nationales (Seuil, 1999).
In Europa, la maggior parte degli inni nazionali risalgono al 19esimo secolo. Fanno parte degli elementi d’identità più forti, come la bandiera. “Con il canto si crea una sorta di comunione, un sentimento molto forte d’appartenenza – sottolinea Anne-Marie Thiesse.

Però non tutti gli inni sono cantati. Qualche mese prima delle Olimpiadi del 2008, il comitato olimpico spagnolo aveva lanciato un progetto per introdurre le parole nella Marcha real, che ne è sprovvista dalla fine del periodo franchista.
Il progetto era poi stato ritirato : “Mettere delle parole significa scegliere una lingua. Se si fosse scelto il castigliano, baschi e catalani avrebbero protestato – osserva Anne-Marie Thiesse.

A volte capita che gli inni evolvano a seconda dei conflitti armati e delle situazioni politiche. E’ il caso in Africa.
Nel 1997, alla fine del regime dell’apartheid, l’Africa del Sud aveva modificato il suo inno, l’unico a essere cantato in cinque lingue diverse (sulle 11 ufficiali). Lo stesso anno, il Rwanda, ancora sotto choc per il genocidio operato dal governo Hutu, aveva deciso di stralciare dal suo inno ogni riferimento alle etnie del paese.

(Le Figaro.fr)