PierGiuseppe Esposito è un giovane autore, già premiato, del quale pubblicheremo oggi stesso un’intervista. Come appetizer vi proponiamo in anteprima questo suo “Incipit romanzo”, che potrebbe diventare, come lo dice la parola stessa… …
UNO
Faceva ancora un gran caldo, all’inizio di settembre, un caldo afoso. Del resto, la città dove si svolgono i fatti che io andrò a narrare, il caldo inizia alla metà di maggio e finisce non prima degli inizi di novembre. È caldo brutto, qui, ti entra direttamente nel cervello. La gente per strada, specialmente ad agosto, sembrano tutti più morti che vivi. Ogni tanto a qualcuno entra il caldo bestia nel cervello, impugna una rivoltella e spara al primo che capita a tiro. Così.
Io stavo nella mia nuova stanza, con gli scatoloni del trasloco (non era il primo e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo) ancora imballati, nessuna voglia di sbaraccare. Nel nuovo appartamento, piccolo e sporco. La mia stanza: quattro pareti attorno a un sottoscala. Nove metri quadrati, mica per scherzo. Perché il nuovo appartamento, in realtà, era solo metà appartamento. Il padrone di casa era stato molto chiaro su questo punto. Di sopra ci stavamo io e i miei due coinquilini. Di sotto un paio di extracomunitari. Tutti quanti, rigorosamente, senza un contratto d’affitto. Il padrone di casa era stato molto chiaro anche su questo punto.
Il problema è che io vedevo sempre tutto così, terribilmente storto, all’epoca. Correva (chissà poi perché si dice così) l’anno 2003. Con Giulia, la mia ragazza, il rapporto era appeso a un filo. Ormai era solo questione di tempo. Ero convinto che dietro a questo fallimento – che era soprattutto il mio – ci fosse un’altra persona. Lei negava. Mi ero sentito fino a quel momento superiore alle scenate di gelosia, ma ora stavamo a trecento chilometri di distanza. Troppi per una coppia in crisi. Questa cosa mi mandava in paranoia. I problemi erano cominciati da quando avevo deciso che, alla fine dell’estate 2003, mi sarei trasferito all’estero per studiare. Inizialmente ero convinto che avrei potuto salvare il nostro rapporto, magari prendendo il treno ogni fine settimana per andare a trovarla. Giulia però voleva che io rimanessi a Lugano. Per andare a vivere insieme. Era un anno più piccola di me e, una volta terminato il liceo, voleva iscriversi all’USI. Io avevo temporeggiato per tutta l’estate, prima di partire.
Alla fine, avevo deciso di seguire il mio istinto che ancora una volta mi avrebbe fregato.
DUE
Michele lo conobbi quasi per caso, alla fine del mese di agosto dell’anno 2003. Ricordo perfettamente il nostro primo incontro, mentre stavo bevendo un caffè nel chiostro di San Giovanni in Monte. Era un giovedì mattina ed io ero alla disperata ricerca di un alloggio. Un lontano cugino dalla parte di mio padre aveva acconsentito a ospitarmi per un paio di giorni. Catapultato nella nuova realtà da un giorno all’altro, a poche settimane dall’inizio delle lezioni, rischiavo di trovarmi di lì a poco senza una ragazza e senza un tetto. Ottima mossa.
In quel preciso istante io vidi arrivare questo ragazzo, con i capelli arruffati, veloce come un razzo. Non saluta nessuno, avvicinandosi alla macchinetta del caffè.
-Non è che tu per caso ha dieci centesimi da prestarmi?
Mi voltai e vidi questo ragazzo coi capelli arruffati che in una mano teneva un portamonete olandese, vuoto, e nell’altra un paio di monetine da venti centesimi.
-Non è che tu per caso conosci qualcuno che affitta una stanza?
Sorrise, e mi rispose di sì.
-Io sto traslocando in una stanza doppia con un amico, Francesco. L’appartamento sta proprio qui dietro, in via Cartoleria. Francesco ed io stiamo proprio cercando qualcuno da mettere dentro l’altra stanza che è libera. Se hai dieci centesimi da prestarmi, tu potresti andare bene. Ho un disperato bisogno di bere un caffè”.
Dalle mie parti, pensai, c’è un termine per definire tutto ciò : culo.
“Quattrocento euro sono un furto”, pensai tra me e me dopo aver dato un’occhiata alla stanza, il giorno seguente. L’appartamento era grande sì e no quanto il cesso di un autogrill di terza categoria. Ma più sporco. Come se il signore dei bagni, quello con il piattino delle offerte, fosse passato a vita migliore. Da un bel po’ di tempo. Nella stanza ci stavano dentro a malapena una branda e un comodino di plastica. Orribile. Anche mia nonna ne aveva uno simile. Nove metri quadrati in tutto, la stanza, centimetro più centimetro meno. Maledettamente pochi per un claustrofobico come me. Ero veramente disperato. L’unica possibilità era di rientrare a Lugano per la fine della settimana, con Giulia, gli scazzi e il resto.
L’indomani decisi quindi di sbarcare in via Cartoleria, teatro delle mie future disavventure.