I sostenitori della teoria del complotto si sfregano contenti le mani. L’ultimo episodio della saga della morte della principessa Diana, il 31 agosto 1997 a Parigi, evoca nuovamente il complotto della famiglia reale britannica, atto a impedire che la madre del futuro re d’Inghilterra potesse sposare un musulmano.
All’origine di questo ritorno sulla scena del “caso Diana”, c’è l’annuncio, il 18 agosto, dell’esame condotto dalla polizia londinese su nuovi elementi, ossia la testimonianza dei famigliari di un ex soldato del reggimento d’élite, il quale afferma che uomini delle forze speciali SAS avrebbero preparato l’incidente d’auto che è costato la vita all’ex moglie del principe Carlo.
La regina Elisabetta II e suo marito, il principe Filippo, avrebbero incaricato la SAS di eliminare fisicamente la principessa, che nel 1997 aveva 36 anni, per impedirle di sposare Dodi al Fayed, figlio del proprietario, all’epoca, del famoso negozio Harrods.
Due indagini ufficiali, una francese chiusa nel 2002 e una britannica conclusa nel 2006, hanno stabilito che l’incidente era stato causato dalla guida in stato di ebbrezza dell’autista della Mercedes nera S 280, Henri Paul.
D’altronde, diversi libri e testimonianze nell’entourage di Diana avevano rilevato che Diana non aveva alcuna intenzione di sposare Dodi al Fayed, considerato un play-boy mitomane e viziato.
Il pomeriggio del 31 agosto 1997 Dodi le aveva acquistato un anello nella gioielleria Repossi, ma tutti concordano nel dire che Diana non intendeva nemmeno fidanzarsi con lui, in quanto era innamorata del chirurgo pachistano Asnat Khan, che l’aveva respinta qualche mese prima dell’incidente.
Semplicemente, Henri Paul guidava troppo velocemente per sfuggire ai giornalisti che li inseguivano. Il primo ministro britannico David Cameron ha sempre escluso la riapertura delle indagini.
Un britannico su quattro continua però a credere alla tesi di un assassinio perpetrato dai Windsor, una tesi sostenuta anche dal padre di Dodi al Fayed.
Nel 2003, Paul Burrel, l’ex-maggiordomo di Diana, aveva parlato di una lettera che Diana gli aveva inviato dieci mesi prima della sua morte, nella quale esprimeva il timore di essere vittima di un assassinio camuffato da incidente.
Conosciuto per la sua cupidigia e la sua megalomania, Burrel aveva omesso di consegnare la lettera agli inquirenti francesi, Era stato anche processato per il furto di circa 300 oggetti appartenuti alla principessa. All’ultimo momento, la regina Elisabetta gli aveva concesso la grazia.
(Le Monde.fr)