Venerdì 8 novembre a Ginevra, gli indici si sono moltiplicati sull’imminenza di un accordo nel difficile dossier del nucleare iraniano, accordo che interverrebbe nel secondo round di negoziati fra l’Iran, i cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania.

A Ginevra è presente anche Catherine Ashton, responsabile dell’Unione europea per gli affari esteri, che dopo aver incontrato i partner occidentali, russi e cinesi, ha previsto un nuovo incontro, dopo quello di ieri, con il ministro iraniano degli esteri Mohammad Javad Zarif, insieme al Segretario di Stato americano John Kerry, che si trova a Ginevra dopo un intenso tour medio-orientale. A Ginevra ha annunciato il suo arrivo anche il ministro degli esteri francese Laurent Fabius.

Nessuna indiscrezione filtra sui termini dell’accordo.
“Sono rappresentati sette paesi e una cinquantina di diplomatici direttamente coinvolti e nessuno ha svelato la proposta concreta degli iraniani. E’ la prova che questa volta si fa sul serio – commenta un diplomatico presente a Ginevra.

In mancanza di una fuga di notizie, fra gli osservatori girano diverse supposizioni. Si dice ad esempio che per sei mesi l’Iran potrebbe cessare di arricchire uranio al 20%, un grado di purezza a partire dal quale c’è una rapida progressione verso un combustibile a uso militare.
Si dice anche che potrebbe convertire parte del suo stock arricchito al 20% in combustibile inoffensivo per essere usato nella sua centrale nucleare civile di Bushehr.

Uno stop di sei mesi darebbe ai negoziatori un termine insperato per mettere insieme un accordo definitivo e completo. Interverrebbe in un momento in cui, secondo taluni esperti, l’Iran è a pochi mesi dalla tappa di sviluppo scientifico e industriale a partire dal quale una bomba può essere rapidamente assemblata e messa in funzione, se una decisione politica fosse presa in tal senso.

Adesso si guarda agli Stati Unit : in cambio degli sforzi iraniani quali sanzioni possono essere tolte? La risposta è molto complicata e giustifica la presenza a Ginevra degli esperti di sanzioni internazionali.
Da un lato l’Iran ha fretta : le sanzioni costano dal 50% al 75% dei suoi redditi, essenzialmente petroliferi e il nuovo presidente Hassan Rohani ha bisogno di soldi.
Dall’altro lato le sanzioni sono per la maggior parte iscritte nei testi di legge. Per apportare modifiche si deve formare una maggioranza e i Parlamenti devono pronunciarsi. L’unica compagnia petrolifera nazionale iraniana è oggetto di sanzioni iscritte in sette diverse legislazioni.

Ali Vaez, ricercatore presso il International Crisis Group (ICG), ha stilato lo scorso febbraio la lista delle sanzioni accumulate in tre decenni, iniziando dal blocco di 12 miliardi di dollari che l’Iran aveva depositato negli Stati Uniti prima della rivoluzione del 1979, l’anno in cui il paese era stato proclamato Repubblica islamica e gli Ayatollah avevano preso il potere.
Vaez ha contato 9 atti del Congresso americano e 15 ordini presidenziali, di cui 7 iscritti in una legge che per essere sospesi o annullati necessitano del voto del Congresso.
A questo si aggiungono 4 risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e decine di sanzioni europee, per le quali in caso di modifica è necessaria l’unanimità degli Stati membri dell’UE.

Le due sanzioni che hanno duramente colpito l’economia iraniana sono recenti. Colpiscono le esportazioni di petrolio e gli scambi interbancari. Nel 2012 l’Iran è stato escluso dalla piattaforma Swift, che ha base in Belgio, sin lì usata da 49 istituti iraniani e dalla quale transitava l’89% delle esportazioni del paese.

Se volesse, il presidente Obama potrebbe sospendere o annullare gli atti presidenziali con un sistema di waiwers (“rinunce”) di una durata da tre a sei mesi. Questo potrebbe, ad esempio, riguardare il commercio dell’oro.
Si tratta di misure reversibili che faticheranno a convincere gli iraniani a prendere decisioni definitive. Inoltre, gli osservatori ritengono che per Obama avranno un importante costo politico, a causa dell’ostilità del Congresso.

Nelle ultime settimane a Washington si è fatta strada l’idea di aiutare l’Iran non modificando i testi di legge, ma sbloccando i guadagni del petrolio, circa 50 miliardi di dollari, trattenuti nelle banche centrali di India e Giappone, che hanno continuato a importare il greggio iraniano.
Ma l’idea non è piaciuta : “Questi soldi già appartengono all’Iran – ha dichiarato Hossein Moussavian, ex negoziatore nucleare iraniano, oggi residente negli Stati Uniti e personaggio vicino al presidente Rohani – L’Iran ha bisogno che si tolgano le sanzioni, non di essere accontentato con un bonus.”

(Le Monde.fr)