Cancellieri Annamaria, integerrima ministra di Giustizia del Governo Letta, intrattiene da molti decenni rapporti di grande amicizia con la famiglia Ligresti, che gode, lei pure da decenni, di una fama ambigua che si è recentemente concretizzata con la messa dietro le sbarre di padre e figlie. Il figlio Ligresti è sfuggito alla gattabuia perché naturalizzato svizzero, residente in Collina d’Oro, con la firma ancora bagnata e i milioni dubbi al sicuro.

La ministra integerrima ha mantenuto l’amicizia con la famiglia Ligresti in difficoltà, e questo le fa onore. Un’amicizia sostenuta anche da una solida gratitudine, visto che qualche hanno fa il padre Ligresti aveva assunto ad un posto dirigenziale un figlio della Cancellieri, nell’azienda assicurativa il cui fallimento fraudolento è adesso causa dei guai dei Ligresti. Figlio che era stato allontanato dopo pochi mesi, non so perché, con un bonus d’uscita di 5 mio di euro, cifra mirabolante e quasi incredibile riferita dalla stampa.

Sollecitata dalla madre Ligresti che lamentava la detenzione di una delle due figlie in cattiva salute, sofferente sembra di anoressia, la Cancellieri, che di anoressia non soffre, anzi ne avrebbe bisogno, è intervenuta presso l’autorità carceraria: poche ore dopo, miracolo dei miracoli, l’anoressica si è ritrovata a piede libero.

Venuto alla luce l’intervento telefonico ministeriale, si scatena il finimondo, e molti chiedono le dimissioni della ministra. Letta, il mezzo presidente (presidente solo degli italiani di sinistra) Napolitano e tutto il PD, quest’ultimo pur tra aspri dibattiti interni, fanno quadrato in difesa della ministra dagli strani (si fa uso di un eufemismo) comportamenti. La Cancellieri, dando prova di singolare senso del dovere di un ministro della Giustizia, si aggrappa alla poltrona e vi sta ancora (2 dicembre 2013) solidamente e, vista la stazza, largamente seduta.

Molti, moltissimi, fanno il paragone con la celebre telefonata per Ruby di Berlusconi, costata al suo autore 7 anni buoni buoni ( in minima o nessuna parte dovuti ai rapporti con una minorenne a pochi giorni dalla maggiore età).

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Paradossalmente i maggiori danni (trombe d’acqua, scoscendimenti, straripamenti e allagamenti) il paese ancora vicino e ai tempi anche amico, ora un po’ meno (Tremonti con i suoi scudi fiscali, Monti, spocchioso servitorello dei plutocrati di Bruxelles, libera circolazione delle persone, bilaterale in teoria, unilaterale in direzione sud-nord nella pratica grazie agli ostacoli di una burocrazia pazzesca e assolutamente indifferente al rispetto dei trattati), li subisce da parte della sola forza funzionante nel paese, indefettibilmente, 24 ore su 24, da Capodanno al 31 dicembre: la forza di gravità.

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Ho ascoltato centinaia se non migliaia di interviste a alluvionati che in Sardegna come nel Sud Italia hanno perso tutto. Sono dei querulanti inguaribili e insopportabili. Invece di rallegrarsi perché il governo, le regioni e le province neanche aspettano che i nubifragi tocchino terra o che i sismografi si siano calmati (la stessa ingratitudine la manifestano anche i terremotati) che già stanziano milioni e milioni di euro in loro aiuto. Alluvionati e terremotati hanno il coraggio di lamentarsi, ancora anni dopo l’avvenuto stanziamento, di non aver visto neppure una lira, che è esattamente quel che accadrà agli esondati (esondati, nel senso di vittime di esondazioni, non esodati, che è  un’altra musica) di adesso. Neppure il fatto che le procure aprano immediatamente (così in fretta da far pensare che li abbiano già pronti, basta metter la data) un fascicolo li accontenta. Finirà che i politici, stufi di queste manifestazioni di ingratitudine rinunceranno a qualsivoglia stanziamento. Si limiteranno, come hanno fatto finora, a studiare seriamente il problema del risanamento idro-geologico.

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Prato: una delle regioni più rosse di Toscana, rossa a sua volta fin dai tempi dei ghibellini. Decenni di governo pratese rosso (con passaggio al centro-destra recente, per contrasti locali, ma con cuore che resta più  rosso che mai) per far fiorire, nella periferia di questa florida capitale dell’industria tessile italiana, tutta una marea di piccole ditte cinesi abusive che impiegano veri e propri schiavi cinesi. Schiavi, si dice, da 1 euro all’ora per 14-16 ore lavorative, 4 giacigli in fabbrica in 6 metri quadri, condizioni igieniche da non dire, ratti in splendida salute, floride pantegane, a far da compagnia.

Un banale incendio, neanche violento, ha intrappolato e ucciso 7 poveri schiavi, e due sono in condizioni gravissime.

Un membro delle forze dell’ordine dichiara in un’intervista televisiva che negli ultimi 2 anni in quel di Prato sono state indagate 1’400 aziende cinesi: 1’200 sono risultate fuori da ogni disposizione  e regolamento vigenti. La schiavitù con lo sfruttamento bestiale di esseri umani cinesi da parte di delinquenti cinesi, ancora regola di convivenza civile in troppi paesi asiatici, adesso reintrodotta in un’Europa che se ne era liberata da secoli (ma allora gli sfruttatori non erano cinesi).

I dibattiti televisivi impazzano: si invocano cambiamenti radicali. Già, come diceva Tomasi di Lampedusa: cambiare tutto, affinchè nulla cambi. Sarà così anche questa volta.

Gianfranco Soldati