Il senso della scoperta è sicuramente guidato dalla curiosità che a sua volta è il motore dell’evoluzione della specie.
Si puo’ avere una curiosità semplice come stappare una bottiglia per sapere che gusto meravoglioso ha un Brunello di Montalcino oppure si possono immaginare terre lontane sino a scoprirle come l’eroico Cristoforo Colombo o ancora si possono trovare nuovi pianeti, nuove stelle lontane, che è il compito di astronauti e astronomi i quali si spingono oltre i confini del mondo e della nostra Galassia.
L’elenco degli esploratori è molto lungo e variegato; dalla notte dei tempi si alternano personaggi dai profili assai coinvolgenti ma se ci dovessimo domandare: “Chi è l’ultimo esploratore sulla faccia della Terra?” che cosa risponderemmo?
Probabilmente non tutti se lo ricordano o l’hanno mai sentito nominare, anche se egli fu l’artefice del famoso detto “il progresso è la capacità dell’uomo di complicare la semplicità”. Oggi Gianna Finardi ci racconta l’emozionante vita di Thor Heyerdahl, l’ultimo degli esploratori.
<< Sicuramente ogni vita, ogni esistenza ha una sua ragione d’esser vissuta sulla terra e ogni umano ha una vena avventurosa che promuove le azioni del fare, del crescere e dell’apprendere, ma alcuni, come nel caso di Heyerdahl, hanno trascorso un’intera esistenza immolandola all’insegna della conquista di novità, sospinti dal soffio della curiosità.
Thor Heyerdahl, nato il 6 ottobre 1914 a Larvik, Norvegia, fu biologo, esploratore, regista, scrittore specializzato all’Università di Oslo in antropologia delle isole del Pacifico e divenne famoso per la sua attività di archeologo, mettendo in discussione le teorie contemporanee sulla diffusione umana, via mare, in tutto il pianeta, attraverso ardite navigazioni su natanti rudimentali al fine di dimostrare la possibilità di viaggi transoceanici in epoca antica.
I suoi progetti navali si basavano su precise documentazioni storiche o protostoriche ed erano eseguiti con l’aiuto di maestranze indigene abili in lavorazioni simili a quelle antiche, mentre le sue spedizioni si basavano su un metodo scientifico tipico Galileiano con un’ipotesi che, grazie alla spedizione avventurosa, cercava di avallare con riscontri tangibili. I dubbi della comunità scientifica dell’epoca si riferivano sostanzialmente all’uso di materiali poco noti e ritenuti inaffidabili quali legno di balsa, papiro e giunco per allestire le “imbarcazioni”.
Le sue avventure nel mondo incominciarono nel 1937-38, quando Heyerdahl apprese da un indigeno dell’Isola di Pasqua alcune leggende, che fecero sbocciare in lui una serie di ipotesi antropologiche secondo le quali la Polinesia era stata colonizzata da popoli amerindi. I racconti indigeni, che per altri potevano rivestire un contenuto quasi mistico, per il fantasioso biologo norvegese si tramutarono nella spinta propulsiva che diede vita al viaggio, che per il valore archeologico e antropologico incommensurabile, lo consacrò col titolo di “ultimo esploratore nella storia dell’umanità”.
Così il 28 aprile 1947 Heyerdahl, accompagnato da altri 5 uomini, salpa da Callao, Perù, con una zattera di balsa di ispirazione incaica, il <<Kon-Tiki>>, trasportato dalla Corrente di Humboldt; il 30 luglio l’equipaggio avvista l’isola di Puka Puka, nell’arcipelago delle Tuamotu, e al 101esimo giorno di navigazione, approderà sull’atollo di Raroia in Polinesia. La spedizione dimostrò (ipotesi primordiale) che era tecnicamente possibile per le popolazioni sudamericane raggiungere e colonizzare la Polinesia e l’Isola di Pasqua.
Descrisse così quel lungo navigare :”….non vedevo nessun’altra imbarcazione né alcun segno dell’uomo. Era come viaggiare su un tappeto magico nell’universo”.
L’ipotesi però in tempi moderni ha trovato solo un accoglimento parziale perché, a seguito di analisi genetiche sul DNA mitocondriale, si è accertato che il flusso migratorio avveniva in direzione contraria – benché tecnicamente analogo dal punto di vista della navigazione.
Gli studi antropologici di Thor H. in quell’area di Oceano non si limitarono a quella spedizione; così nel 1952 egli prese la volta delle Galapagos, per capire se queste isole in qualche modo fossero state un punto di approdo durante la navigazione degli amerindi dal Perù alla Polinesia. Nessun archeologo aveva mai studiato le Galapagos, considerate disabitate, ma Heyerdahl, grazie al ritrovamento di reperti archeologici quali resti di abitazioni precolombiane e di numerosi vasi in ceramica pre-incaici dell’Ecuador e del Perù settentrionale, dimostrò che le isole avrebbero potuto essere uno scalo migratorio dal Sud America verso la Polinesia, come una sorta di punto di attracco delle zattere pre-incaiche preistoriche non che luogo di approdo di navigatori provenienti dalle Americhe in epoca precolombiana.
Ma gli oceani esercitavano sul navigatore norvegese nato a Larvik un’ attrazione a cui non poteva sottrarsi tanto che a detta sua “Nessun Oceano può isolare un uomo con un certo livello di cultura.” Ecco che si susseguirono altre “pazze avventure impossibili” come la spedizione del 1970, quando con un‘imbarcazione di papiro come quelle usate dagli antichi Egizi, <<il Ra II>>, attraversò l’oceano Atlantico dal Marocco alle Antille. Nel 1977 un’altra imbarcazione di Giunchi, <<il Tigris>>, navigò dalle rovine di Babilonia (Iraq) alle Maldive e di lì a Gibuti.
Il biologo norvegese fu anche autore di documentari sulle sue spedizioni tanto che il lungo viaggio di 8 mila kilometri del Kon-Tiki diventò la trama di un bestseller tradotto in 67 lingue ed ispirò un celebre film premiato con un Oscar per il miglior documentario nel 1952, mentre Ra (The RA Expeditions) fu candidato allo stesso premio nel 1972.
Nel 2001, incurante dell’ età, egli annunciò di prepararsi ad andare alla ricerca di Asgaard, la mitica residenza del re dei Vichinghi seppellita, secondo lui, ad Azov, a nord del Mar Nero; ma quella rimase un’avventura incompiuta poichè morì a causa di un tumore dopo molti mesi di sofferenza portandosi con sé il suo “sogno nel cassetto” il 18 aprile del 2002, data destinata a restare tragicamente immortale anche per la cronaca milanese visto che coincide con il disastroso incidente al Grattacelo Pirelli.
Grazie alla scientificità delle spedizioni di Thor H., rigorosamente documentate ed esposte nel Kon-Tiki Museet di Oslo, molte delle sue teorie, soprattutto sulle origini delle popolazioni polinesiane, risultarono le più diffuse e suoi studi hanno comunque dimostrato che in epoche molto antiche le rotte marine erano solcate abitualmente e che gli scambi culturali erano molto più fiorenti di quanto si pensasse. Tutto questo ci deve far dedurre che i nostri predecessori erano persone capaci di coprire lunghe distanze per le più svariate necessità, benché non fossero stati in possesso di grandi navi o di veivoli veloci per solcare mari e cieli da Est a Ovest, rivaleggiando con il mito di gloria e di magnificenza che avvolge la scoperta delle Americhe e delle Indie da parte dei navigatori occidentali.
Quello che in realtà lo scopritore voleva dimostrare davvero era un qualcosa di molto più saggio che viene riassunto in questa sua frase:”Grazie allo studio del passato voglio dimostrare che siamo una sola razza sulla terra, e che dobbiamo imparare a vivere in pace e in armonia”>>
Gianna Finardi
La sua ironia, la sua saggezza, i suoi aspetti più coloriti, la sua vena avventurosa emergono da alcune sue frasi storiche che però bene si addicono anche alla “vita di tutti giorni” come se in fondo la vita di ognuno fosse la più grande avventura dell’essere.
“Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone”.
“Nella mia esperienza, è più raro trovare una persona davvero felice in una cerchia di milionari che tra i vagabondi”.
“Si chiama progresso quando una quercia secolare è abbattuto per dare spazio ad un cartello stradale”.