Il piagnisteo padronale sull’abolizione da parte della BNS del tasso di cambio minimo tra euro e franco non conosce soste. Eppure i primi bilanci trimestrali del 2015 delle medie e grandi aziende non sembrano indicare che ci si trovi di fronte all’inizio della bancarotta. Anzi, si ha piuttosto l’impressione che l’impatto negativo della rivalutazione del franco venga volutamente sopravalutato da chi ha interesse a farlo. Grazie a quella mentalità distorta propria di chi piange miseria e pretende di aver perso 2 mio quando invece di 10 ne ha guadagnati solo 8.

La Svizzera ha sopportato tranquillamente, e direi anche magnificamente, dal 1960 in poi, una rivalutazione del franco che ha portato il dollaro da 4,30 franchi a 90 centesimi, il marco da 1,20 a 0,80 franchi e l’euro da 1,60 alla pratica parità. Segno inequivocabile che il paese dispone di strutture politiche e di una classe imprenditoriale complessivamente all’altezza del compito. Aiutato anche, nell’attuale fase, dalla favorevole caduta del prezzo del petrolio.

conversione_di_San_Paolo x

Vede la Luce, sente la Voce, cade da cavallo e si converte
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio

Saul (Raul) folgorato sulla via di Damasco   Questo potrebbe diventare lo “Zibaldone” dei piagnistei, visto che l’altro ieri (6 maggio 2015) ho potuto leggere lo “stabat pater lacrimosus” di Raoul Ghisletta sul “Corrierone”. Un mea culpa dolorosissimo, lancinante, commovente, tale da far venir la voglia di inviare all’insigne politico sentite e sincere condoglianze, nel loro più puro significato etimologico, che è quello di “dolere assieme, dolere con, condolere”. Un elenco di tutte le votazioni in cui Ghisletta ha introdotto un “sì” senza se e senza ma nell’urna, per terminare in gloria con un “no”, anche quello di granitica certezza, il 9 febbraio 2014 (Ghisletta scrive 2015, penso si tratti di un refuso).

Il nostro rimpiange in particolare il suo voto positivo dell’8.2.2009 al rinnovo dell’accordo sulla libera circolazione e la sua estensione a Bulgaria e Romania. Rinuncio, per carità cristiana, a rievocare con tanto di nome e cognome le dabbenaggini (eufemismo) che ci furono allora propinate dai sostenitori dell’accordo, parte blocheriana dell’UDC purtroppo compresa. A sostenere il referendum rimasero in pratica solo i giovani UDC che lo avevano promosso e i vecchi nazionalconservatori tra i quali mi colloco senza riserve. In articoli contro l’accordo feci ricorso ad una legge dell’idrodinamica, quella dei vasi comunicanti: se si collega un vaso con livello alto di liquido con uno a livello basso, il livello del liquido scende nel primo e sale nel secondo fino al perfetto equilibrio, ad una velocità che dipende dal diametro del tubo di collegamento. Per un paese con salari alti e disoccupazione a livelli minimi permettere la libera circolazione di lavoratori di paesi a bassi salari e alta disoccupazione l’effetto non può essere altro che quello dei vasi comunicanti: scendono i salari e sale la disoccupazione, a esclusivo beneficio dei lavoratori liberamente circolanti e dei loro paesi. Quanto sia grande il loro beneficio lo dimostra il fatto che questi lavoratori stranieri (i cosiddetti frontalieri), accettano imperturbabilmente un’ora o più di circolazione in fastidiose colonne per recarsi al o tornare dal lavoro.

Porre rimedio a questo stato di cose è un problema tipo quadratura del cerchio. Al nuovo Consiglio di Stato, chiamato alla ricerca di una soluzione, “je souhaite bien du plaisir”. A preferire frontalieri ai nostri lavoratori sono i datori di lavoro, per pura o praticamente pura convenienza finanziaria. La scusa che lo facciano per mancanza di lavoratori nostrani adeguatamente preparati non tiene, in un paese che dispone, dopo i paesi anglo-sassoni, delle migliori scuole tecniche al mondo, come viene ampiamente riconosciuto in tutte le statistiche disponibili.

Queste mie banali osservazioni non potevano certo sfuggire al cervello acuto del sindacalista pentito e dei suoi colleghi. A convincerli e attrarli al sì come mosche attratte dal nastro acchiappamosche, l’8 febbraio 2009, fu la prospettiva di misure di accompagnamento tra le quali primeggiava la possibilità di introduzione coatta di contratti collettivi di lavoro, lucrosissima fonte di risorse finanziarie per i sindacati, a spese dei lavoratori cui garantiscono solidi salari. Quella dell’anticapitalismo dei socialisti è una pura barzelletta. Loro sono sì contrari ai capitali, ma solo a quelli degli altri. Ai propri no! Si mormora che Unia disponga di capitali propri per più di 300 milioni, i responsabili tacciono, con grande senso della discrezione, degno di miglior causa. Anche i salari dei sindacalisti godono della dovuta protezione. Sono i segreti meglio protetti al mondo, i soli che siano finora sfuggiti allo spionaggio della NSA (National Security Agency degli americani), di Julian Assange e di Edward Snowden.

Non manco mai una votazione, da decenni, salvo assenze all’estero prima dell’introduzione del voto per corrispondenza. In ognuna delle votazioni elencate dal sindacalista in improvvisa crisi postpubertaria, che metaforicamente accasciato sui rottami del suo credo politico deve amaramente constatare il fallimento di tutta una ideale visione della realtà testardamente perseguita, contro venti e maree, dal suo sindacato, in ognuna di quelle votazioni, dicevo, ho espresso un voto contrario a quello di Raoul Ghisletta. Un mio “no” al posto del suo “sì” e viceversa. Per lui eravamo, rimaniamo e rimarremo un partito di beceri, ignoranti, ottusi, xenofobi, isolazionisti e reazionari. Cosa che deve aver reso lancinante l’obbligo in cui si è sentito di riconoscere che ad aver visto giusto siamo stati noi. Bisogna comunque dargli atto di questa grande e dura prova di onestà intellettuale.

“Rimango”   Abissale, incommensurabile invece il “Röstigraben” tra lui e Saverio Lurati, che ha tirato un respiro di sollievo vedendosi legittimato a prontamente ritirare le dimissioni, inoltrate sulla base di risultati effettivi e ben concreti usciti dalle urne, dall’unanime (o quasi unanime?) approvazione del suo operato da parte di simpatizzanti che probabilmente cercano di consolare se stessi consolando il presidente. Comunque sia, si potrà ricordarlo per più di un motivo: la strenua difesa di Adriano Venuti in fatto di linguaggio forbito e ineccepibile, da contrapporre alla volgarità del “Mattino”, gli strabilianti proclami preelettorali, di solito in comunella con Raoul Ghisletta, le sorprendenti e geniali visite alle comunità islamiche, non adeguatamente compensate nelle urne da chi (Maometto?) poteva e doveva farlo, e, ultima perla della collana, la sconcertante lucidità analitica dimostrata quando, interpellato alla TV di Comano sulla faccenda del candidato liberal-radicale che disponeva di più schede, rispose perentorio che era la prova che i ticinesi non sono pronti per elezioni politiche per corrispondenza, esattamente come avevano previsto i socialisti, solo partito ad opporsi in Gran Consiglio all’introduzione della nuova modalità di voto, utilizzata subito da un misero 83% degli elettori ticinesi

*

Bellissima l’osservazione di Tito Tettamanti in un articolo sul CdT a proposito di adesione all’UE e di adozione dell’euro al posto del franco svizzero auspicati dal radicosinistrume nazionale e nostrano. Stare nell’orchestra europea sul podio del direttore d’orchestra che spetta alla Germania è ottima cosa. Ma starci nel ruolo di suonatore di triangolo che inevitabilmente toccherebbe alla Svizzera non sarebbe il massimo.

*

Tra burnout e colpo di frusta   Lo scorso anno 12’816 individui hanno usufruito di prestazioni AI. Tra di loro 1’358 frontalieri, di cui 1’263 italiani. Un terzo per cause psichiatriche non precisate, ma, credo, in gran parte attribuibili al cosiddetto “burnout”, un coperchio per tutte le pentole come lo fu, fin che riconosciuto dalle assicurazioni, il “colpo di frusta” cervicale. Un grave disturbo, questo “colpo”, praticamente scomparso quando non fu più riconosciuto dai tribunali come giustificabile motivo di richiesta di prestazioni assicurative. Cosa che prima o poi accadrà, ne sono convinto, anche con il “burnout” che imperversa attualmente nella concessione di rendite di invalidità. 66 sono stati i casi sospetti di abuso indagati, 5 con conseguenze penali effettive.

Pensare che i casi da indagare possano essere qualche centinaio non è lecito, ma è logico.

Gianfranco Soldati