E’ di ieri la notizia dell’imposizione di tre mesi di stato d’emergenza decisa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, come conseguenza del sanguinoso tentato colpo di stato della scorsa settimana. Nel suo discorso, Erdogan ha dichiarato che si tratta di una misura necessaria per eliminare il prima possibile la minaccia esistente alla democrazia e allo Stato di diritto all’interno del paese. Il timore, tuttavia, è che si tratti di una decisione volta a garantirgli più poteri, che potrebbero essere usati per intensificare la repressione. I governanti turchi hanno infatti adesso maggior potere e controllano direttamente l’esercito.

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Nel tentativo di colpo di stato sono morte quasi 250 persone e oltre 1500 sono state ferite. Tra le reazioni del governo di fronte all’accaduto, si annovera il licenziamento o la sospensione di circa 50’000 persone in diversi impieghi. Insegnanti, giornalisti, soldati e giudici sono stati presi nella rete delle autorità, in quella che sta assumendo sempre più le proporzioni di una caccia alle streghe. In totale al momento poco meno di 10’000 sono trattenute dalle forze dell’ordine; la maggior parte degli arrestati sono militari.

Nel frattempo, 118 generali e ammiragli sono trattenuti in custodia, una cifra che rappresenta circa un terzo dell’alto comando dell’esercito turco. Inoltre, quasi 9000 impiegati pubblici, prevalentemente facenti parte della polizia, sono stati sospesi dai loro incarichi, così come oltre 20’000 insegnanti in istituzioni private, che si sono visti revocare la propria licenza. 2700 giudici sono stati indicati per l’arresto, anche se non è ancora chiaro se siano stati effettivamente arrestati, e a circa 1500 decani universitari è stato chiesto di rassegnare le dimissioni.

Diversi leader occidentali ha questo proposito hanno già esortato Erdogan a rispettare i principi democratici e ad agire all’interno dei limiti stabiliti dalla legge, evitando punizioni eccessive, quali ad esempio la reintroduzione della pena di morte.