memoria-cognitiva-responsabile-civileDopo le ultime recenti micidiali batoste rimediate con la Brexit e l’elezione di Donald Trump a presidente degli USA molti commentatori – giornalisti, economisti, sociologi, sondaggisti, indovini – dalla straripante verbosità ma dallo scarso intuito psicologico e politico cominciano finalmente a cacciar fuori l’otturato naso (altro che fiuto) dalle imbottite accoglienti tane nelle quali si erano al sicuro rifugiati. Naturalmente riprendendo con qualche rinnovata supponenza certi argomenti ormai stramaledetti, triti e ritriti, come: «Dobbiamo cambiare le regole, anche se però non possiamo andare contro il progresso». Ma quali regole, e quale progresso? Anche perché vi sono regole e regole, come esistono progressi e sviluppi diversi (una volta mi sembra che in Valle Onsernone ci fosse pure una Pro Gresso).

E poi il progresso non vuol necessariamente dire anche sviluppo, positivo sviluppo. Un ragazzino delle scuole elementari potrebbe fare dei progressi in aritmetica ma non sviluppare nel frattempo i muscoli delle mani e delle braccia per uso eccessivo dei soli polpastrelli sulla tastiera di un elettronico marchingegno. Altro che esercitazioni della mano con manipolazione ergonomicamente corretta di penna e matita Anche perché lavorando con il corpo si deve usare innanzi tutto il cervello. E facendo ciò si allena e si sviluppa al meglio anche la propria memoria (sinapsi e neuroni della materia grigia compresi) al posto di quella del computer.

Ma intanto c’è chi va blaterando (direttore del Politecnico federale di Zurigo) che le biblioteche andrebbero chiuse perché non più necessarie mentre altre teste pensanti hanno ancora recentemente sostenuto (Umberto Eco) che il libro è come la ruota: esisterà sempre. Come il martello, la tenaglia, il cucchiaio, il cacciavite. Semmai vi sarà in circolazione – aggiungo io – un sempre maggior numero di «cacciaviti» (anche il «cacciavite», come il cretino, si è ormai specializzato).

A Trento, vivace città mitteleuropea con grande storia e radicate tradizioni è stata nel recentemente inaugurata – il che farebbe ben sperare – una nuovissima biblioteca, opera architettonica esemplare nata dall’intelligenza e dalla misura, dalla sensibilità e dalla leggerezza di Renzo Piano. Una biblioteca che non servirà però solo quale contenitore di libri ma pure come spazio aperto di incontro per uomini e donne che nutrono ancora qualche speranza per l’avvenire dell’umanità. Donne e uomini che credono ancora nella memoria del loro passato. Anche perché le cose – tutte le cose – esistono solo se su di esse conserviamo una concreta memoria.

Solo con la consapevolezza di cosa c’è stato prima di noi potrà avvenire una rivoluzione culturale planetaria che riesca a far cambiare le regole del gioco in chiave democratica. Una rivoluzione pacifica che – tanto per cominciare – riesca però a coinvolgere l’intera Europa, compresa quella dell’Est; e tutta la Russia occidentale (basta con le «cortine»: di ferro o, peggio ancora, fumogene). Naturalmente un’Europa di stampo federale, dove ogni nazione (etnia) possa conservare e promuovere la propria cultura e le proprie specificità in un arricchente reciproco libero scambio. Scambio di idee prima ancora che di persone, di merci o servizi. Un’Europa dove la Svizzera – funzionando da modello per tutti gli altri Paesi – abbia di conseguenza – naturalmente senza arroganza – a poter mantenere la propria indipendenza da «statuto speciale». Ma riusciranno a capirlo a Bruxelles? Anche perché solo attraverso la qualità espressa dai suoi piccoli (ma grandi) numeri il nostro continente potrà forse sopravvivere alla globalizzazione-omogeneizzazione dilagante dei grandissimi (ma piccoli) di Cina, India, Stati Uniti. Qualità al posto di quantità. Perlomeno me lo auguro; ma lo auguro soprattutto per i più deboli, gli sconfitti, gli oppressi, gli emarginati.

Certo, percorrere il proprio passato con la sua storia può a volte essere rischioso, emozionante; a volte pure traumatizzante. Questo genere di introspezione può arrivare in certi casi anche a procurare le vertigini dell’abisso del tempo che inesorabilmente trascorre senza possibilità di ritorno. Ma le emozioni stanno alla base delle passioni e solo rimanendo fino all’ultimo appassionati e innamorati della vita potremo sperare in un futuro per l’umanità. Tutto però dipenderà dal controllo (con l’aiuto di scuola, famiglia, società) che sapremo esercitare sulle nostre passioni incanalandole nel modo più corretto e proficuo.

In definitiva, secondo il mio parere di persona fortunatamente ancora abbastanza libera e indipendente, sarà solo attraverso un laico e radicale ripensamento politico-culturale (ah, le religioni!) che potremo forse finalmente un giorno fermare quel falso progresso che ci sta irresponsabilmente portando sulla via di un tragico regresso. Arrestare il progresso (naturalmente in modo mirato e selettivo) – anche se cosa sicuramente non facile da realizzarsi – andrebbe però in definitiva anche a beneficio di quei pochi che certe regole hanno purtroppo voluto e potuto con tracotanza imporcele per il loro solo venale profitto, il loro limitato egoistico interesse.

Orio Galli

(pubblicato del CdT come opinione)