Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

La mia idiosincrasia per oceaniche assemblee con migliaia di delegati più congiunti, portaborse, giornalisti e fotografi al seguito è ben nota. Spese faraoniche per miliardi di parole in parte del tutto inutili. Che la mia non sia una fissazione lo dimostrano le cifre del recente G20 di Amburgo: 6.500 delegati, 4.000 giornalisti, 20.000 poliziotti, decine di migliaia di contromanifestanti, feriti oltre 400 agenti della sicurezza e circa 200 manifestanti, 400 persone arrestate (compresi alcuni svizzeri), una città messa a ferro e fuoco. Si calcola che il tutto sia costato 130 milioni di euro per tre giorni, costosissimo contributo alla campagna elettorale della signora Merkel per l’elezione di autunno.

Sull’imprudenza di organizzare in una città popolosa e rossa come Amburgo il G20 aspre le critiche nei giornali tedeschi. Conclusioni dell’importante riunione? Un comunicato nel quale si afferma che si «continuerà a combattere il protezionismo incluse le pratiche commerciali ingiuste e a questo riguardo si riconosce l’uso di strumenti legittimi di difesa commerciale». Vale a dire in parole povere: contro il protezionismo ma anche no. Chi decide quali sono i casi di legittima difesa commerciale?

Il G20 ha rilevato qualche commentatore è parso più preoccupato di se stesso che dei reali problemi del mondo, dimenticando di affrontare a fondo temi quali la guerra in Siria, le epocali migrazioni, le provocazioni della Corea del Nord, le tensioni negli Stati del Golfo, le preoccupazioni per una nuova crisi finanziaria.

Ho letto con interesse l’articolo di fondo dell’8 luglio sull’autorevole «Neue Zürcher Zeitung» che dà risposte a domande che io da tempo mi pongo. La grande maggioranza dei cittadini non conosce struttura e ragione d’essere del G20. È bene che si sappia che si tratta di un’iniziativa di alcuni Stati (20), USA in testa, che nel 1999 decisero di costituire un organismo per reggere il mondo.

A parte lo scopo già non privo di presunzione, ci si può chiedere perché quei 20 Stati e non altri – come dice la NZZ – quali l’Egitto, Thailandia, Nigeria, Polonia ed Iran, non certo meno significativi ed importanti di alcuni dei 20. Ovviamente la Svizzera, molto più forte economicamente di molti dei prescelti, non è stata richiesta di far parte del club. Esclusione ingiustificata ma se si pensa agli ostracismi degli anni successivi non priva di significato. Come dice ancora la NZZ i 20 si sono autonominati, non debbono rendere conto a nessuno, neppure ai 170 Paesi non membri che pure sono oggetto delle decisioni dei 20.

Assente ogni forma di legittimità istituzionale e democratica, il G20 non è basato su nessun accordo di diritto internazionale né su eventuali decisioni dell’ONU. Conseguentemente non esiste nessuna corte o tribunale alla quale chi è colpito dalle decisioni dei 20 possa ricorrere per far valere i propri diritti. Si tratta del famoso e pericoloso «soft power» e la NZZ conclude che i non membri possono solo dire «Ja und Amen». Le 20 nazioni (o meglio le più potenti delle 20) autonominatesi governo del mondo sono l’espressione di una forma non istituzionale di egemonia basata sull’insindacabile arroganza del potere.

Il tutto giustifica qualche perplessità e molta cautela. Ma noi svizzeri esclusi e non degni secondo i potenti di far parte del club siamo stati lieti di dar seguito ad un magnanimo invito e di delegare il consigliere federale Maurer ad Amburgo il quale ha avuto il grande onore di partecipare ad uno dei tanti pranzi a margine. Il fatto ci ricorda l’usanza di certe famiglie abbienti dello scorso secolo che una volta all’anno invitavano i parenti poveri. Maurer è andato al G20 in veste di valvassino, ultimo grado della gerarchia feudale dei vassalli nel Medioevo. In termini più moderni a fare l’ultima ruota del carro non rendendosi conto di costituire un alibi. Più seguo gli atteggiamenti del nostro Consiglio federale in politica internazionale più mi convinco della tesi di quegli storici che affermano che Guglielmo Tell non è mai esistito.

Tito Tettamanti