Sovranità: è davvero una parolaccia? (titolo originale)

Quando si vuole troncare un discorso, una disputa, basta appioppare al contraddittore l’epiteto di «fascista». Con un fascista non si discute, dibattere con lui è tempo perso e gli si riconoscerebbe una dignità alla quale non ha diritto. Molto più rara è l’accusa di «comunista». È risaputo che i crimini dei regimi comunisti sarebbero meno gravi perché commessi nell’interesse del popolo…

Più recentemente «fascista» viene talvolta sostituito con «neo-liberista», bieco personaggio che sostiene tesi economiche che affamano i poveri, ingrassando i ricchi e depauperano gli Stati. Ma l’ultimissima moda è: «sovranista». È il nuovo termine con il quale si bolla l’avversario e si stabilisce che non è degno di partecipare al pubblico dibattito. Reazione ingiustificata, il concetto di sovranista merita per contro di venir approfondito e messo in contrapposizione con un altro oggi spesso citato, quello di mondialista contro il quale il sovranismo reagisce. Enunciando i due termini abbiamo menzionato la più importante frattura ideologica odierna.

Da sempre la società è impegnata, in realtà e con rapporti di forza diversi, a individuare le soluzioni migliori e più efficienti per organizzare la convivenza. Già Socrate nel Libro V della Repubblica di Platone parla della Città ideale. John Lennon cantava la visione di un mondo senza frontiere, senza religioni, senza nazioni. Soluzioni generose, idealistiche, utopiche, di ingegneria sociale si scontrano però spesso con ostacoli insormontabili: la realtà, la natura degli uomini, il pericolo di degenerazioni. Il mondialismo (da non confondere con la mondializzazione e la globalizzazione che riguardano fatti economici) è un progetto ideologico che tende ad un’umanità unificata, ad un governo mondiale dissolvendo le singole nazioni, ad una situazione di pace universale.

Fatta eccezione per gli ottusi e pericolosi fanatismi ogni ideologia merita attenzione. Quella del mondialismo a mio parere ha in sé aspetti che la rendono inattuabile o temibile. Innanzitutto il pericolo di una tecnocrazia oligarchica titolare di un governo mondiale, quale risultato di selezioni e scelte tra i poteri forti ma non di elezione popolare e quindi senza legittimazione democratica. Inoltre il mondialismo tende ad ignorare che nelle differenti parti del mondo vivono culture diverse, tutte da rispettare ma frutto di sedimentazioni millenarie che abbiamo nei nostri rispettivi DNA. Basta girare un po’ tra i continenti per concludere affari (non da turista distratto) e ci si rende conto delle diversità superabili con la trattativa ma non annullabili per decreto. Queste poche indicazioni dovrebbero aiutarci a capire perché il sovranismo, che pure lui soffre dei suoi fanatismi, è un sentimento molto radicato nei ceti medi che più hanno sofferto non solo economicamente, costituiti da artigiani, piccoli imprenditori, lavoratori indipendenti, ai quali si aggiunge oggi il mondo operaio dimenticato dalla sinistra intellettuale. Rappresenta le paure di quei ceti che nella società «liquida» (disancorata) di Zigmunt Bauman hanno bisogno di radici, di identità, di dimensioni che permettano loro di capire e poter partecipare. Conseguenza, secondo Bauman, anche dello «spostamento nello spazio globale (e per molti aspetti extraterritoriale) privo di controlli politici».

Potremmo riassumendo dire che il mondialismo è il successo dell’oligarchia tecnocratica, che non tollera confini; il sovranismo la difesa della democrazia partecipativa che necessita di spazi finiti.

Lo scontro tra le due visioni si è fatto più acceso. L’ideologia mondialista è in atto da anni, con il sostegno delle grandi organizzazioni mondiali (anche quelle nate con altri fini), dell’UE sul piano europeo, spesso dei partiti di massa e di governo, di parte dei gruppi economici multinazionali, di influenti ONG del mondo intellettuale della sinistra che ha trovato un’alternativa dopo il fallimento dei sistemi comunisti e usa i canali del «politically correct».

La reazione sovranista, molto più spontanea e disorganizzata con deficienze e incoerenze perché meno sorretta dal mondo della cultura, con accenti diversi e qualche non accettabile dissonanza autoritaria a seconda dei Paesi, è in ritardo ma ha il vantaggio di avere radici popolari in un momento di perdita di credibilità delle élites. Riducendo il dibattito all’osso: potere tecnocratico o potere democratico?

Inutili gli atteggiamenti di superiorità e demonizzazione. La democrazia impone che ci si sottometta all’ingrato e difficile compito di convincere gli elettori, che si resista alle tentazioni delle vie facili e brevi, che si riconosca l’importanza della cultura e della competenza. Vedremo se le élites, indispensabili in ogni società, nelle loro reazioni al sovranismo cercheranno di capire le aspirazioni, di comprendere i propri errori, di evitare il facile giudizio dell’arroganza o se invece, aggrappandosi ostinatamente al potere e ad una presunta superiorità falliranno un’altra volta.

Tito Tettamanti

pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata