Lo sciopero odierno conferma che la situazione della penisola sta diventando critica. La corda è ormai tesa e si sta andando incontro ad una situazione che potrebbe sfociare in un grave confronto. La domanda è, fino a che punto Pechino potrà tollerare le proteste che hanno raggiunto livelli mai visti in passato?

Foto Wiki commons (Studio Incendo)

Era cominciata un paio di mesi fa per protestare contro la decisione della Signora Lam – primo responsabile di Hong Kong e notoriamente legata ai leader di Pechino – per aver tentato di introdurre una legge che consentiva a Pechino di chiedere l’estradizione di chicchessia per reati politici e di processarlo in Cina.

Bisogna sempre ricordare che l’accordo fra il Regno Unito e la Cina, l’handover del 1997, prevedeva la definizione di “un paese, due sistemi”. Cioè una autonomia speciale per 50 anni, ma ben definita. Ne mancano ancora 28 alla fine del mandato.

Hong Kong dal 1997 è ridiventata Cina, sia ben chiaro e nessuna possibilità di cambiamento in futuro. L’autonomia si basava quindi su un modello dove Hong Kong avrebbe goduto di garanzie speciali, ovviamente da non trasgredire.

Nell’accordo, si era anche stabilito che ci sarebbe stata addirittura una presenza militare della Cina. E così è avvenuto, si stima stazionino ad Hong Kong dai 6 ai 10 mila soldati, che però non si vedono, anche se presenti. Pronti ad intervenire se necessario e richiesto. La contestazione incominciata per la legge sull’estradizione si è però modificata ed allargata nelle ultime settimane. Gli abitanti di Hong Kong molto probabilmente hanno percepito che se vogliono cambiare il loro destino è ora il momento di muoversi.

Infatti la massima dimostrazione di qualche giorno fa ha visto la presenza per le strade di almeno 2 milioni di cittadini (contro una popolazione di 5, 4 milioni). Una cosa imponente e molto preoccupante. Questo è il motivo principale, per ora, dell’immobilità di Pechino, al di là delle dichiarazioni di “inaccettabilità” della situazione attuale. Ed anche il comandante del PLA (peoples liberation army) pur tenendo i suoi uomini fermi, ha confermato le stesse espressioni: “basta non tirate la corda”…..

Ora la protesta chiede oltre all’eliminazione della legge, non solo la sospensione (estradizione), garanzie democratiche per il futuro ed anche una rappresentanza locale democratica oltre ad un’inchiesta sulla brutalità della polizia.

Insomma lo stato attuale è veramente grave: i cittadini – o molti di loro- vogliono conferme che non vengano integrati nella Cina; cosa contraria agli accordi del 1997. Lo scopo è quello di rallentare la cinesizzazione del paese ed avere una voce consistente per Hong Kong. Linguaggio non comprensibile e ricevibile a Pechino dove tale situazione è molto più imbarazzante. A Hong Kong non vogliono un grosso problema per varie ragioni. Fra le più rilevanti, non vogliono aggiungere una gatta da pelare a quelle dello Xinjiang, del Tibet. In un momento critico della situazione di conflitto commerciale con gli Stati Uniti, il problema non è benvenuto.

In secondo luogo, Hong Kong è lo specchietto per le allodole per Taiwan che, come sappiamo, è l’ultimo problema irrisolto per poter completare la vittoria cinese dopo il “secolo dell’umiliazione”. A Taiwan le prossime elezioni vedranno lo scontro fra l’attuale partito di governo, molto cauto con Pechino ed il KMT più favorevole a un accordo con la Cina. È evidente che a seconda di come Pechino affronterà il problema di Hong Kong, importanti saranno le ripercusioni nell’uno o nell’altro senso.

Ciò spiega la cautela di Pechino per ora. Ma fino a quando potranno tollerare la richiesta? E in che modo reagiranno?

Vittorio Volpi