Ieri a Las Vegas si è assistito al più combattivo dibattito dei candidati presidenziali democratici. L’esordio del miliardario Mike Bloomberg, salito ieri sul palco televisivo per la prima volta in vista delle primarie dello stato del Nevada, è stato attaccato pesantemente dai suoi stessi avversari democratici.

Elizabeth Ann Warren, attuale senatrice degli Stati Uniti e candidata democratica alla presidenza, si è sempre distinta per i suoi modi cortesi dichiarando che mai avrebbe attaccato i compagni democratici, me ieri si è trasformata scatenando tutta la sua ferocia nell’accusare Bloomberg. Il cambiamento di tattica probabilmente è avvenuto anche a seguito dei suoi scarsi risultati negli ultimi sondaggi.

Mike Bloomberg, proprietario della famosa società di servizi finanziari che porta il suo nome, è stato ieri un bersaglio fin troppo facile dato il suo passato discriminatorio sulle minoranze sociali, fortemente criticato per razzismo dagli attivisti per i diritti civili, e per i suoi accordi privati stipulati per risolvere questioni riguardanti le molestie sessuali sul posto di lavoro. Lo stesso Bloomberg ha confermato durante la discussione che esistono alcuni documenti che provano la rinuncia a far causa per abusi sessuali da parte di donne che lavorano presso “Bloomberg News”.

Ma Warren non è stata l’unica ad accusarlo, candidato dopo candidato si sono alternati lungo le due ore del dibattito televisivo con duri attacchi e commenti sprezzanti contro Mike Bloomberg. E nel tentativo di collegarlo a Donald Trump, la Warren ha detto: “I democratici corrono un grande rischio se viene sostituito un arrogante miliardario con un altro”.

Il 78enne Mike Bloomberg è figlio di un modesto contabile, ed è stato a capo di molte aziende e istituzioni. Direttore generale di una banca d’investimento presso Wall Street, sindaco per dodici anni della città più popolosa degli Stati Uniti, capo di un gruppo nazionale di controllo delle armi, fondatore di una società di servizi – principale fornitore globale di dati finanziari – che possiede la più importante rete radiofonica di New York. Quando entrò in politica diventando sindaco di New York City, era candidato nelle file del partito Repubblicano che abbandonò per ritornare dopo un periodo da Indipendente nel partito Democratico con l’obiettivo di cercare di raggiungere il più alto ufficio politico americano.

Nel suo primo mandato politico nel 2001, ha vietato il fumo nei bar, combattuto con i sindacati dei trasporti e lanciato una crociata contro i venditori ambulanti. I giornali iniziarono a chiamarlo “Gloomberg”, che nel dizionario urbano rappresenta un canale dedicato alle cattive notizie. Ma grazie ad una economia migliorata e ad un calo del tasso di criminalità sotto la sua giurisdizione, ha vinto un secondo mandato come sindaco con un margine di vittoria del 20%, e riuscì a vincere anche il terzo mandato fino al 2013 presentandosi come candidato Indipendente.

È stato definito freddo, professionale ed efficace. Eppure la sua candidatura alla presidenza ha scatenato un tono discordante all’interno del partito Democratico che ritiene l’integrazione delle minoranze etniche e la parità di reddito una parte importante della diagnosi dei mali americani. I commenti che l’ex sindaco ha fatto in passato sulle donne e sulle persone di colore riemergono oggi e tornano a perseguitarlo mettendolo in una posizione scomoda con gli elettori democratici.

La critica più pesante su Mike Bloomberg riguarda il controverso programma noto come “Stop and Frisk” praticato dal Dipartimento della Polizia di New York City quando lui era sindaco. La polizia poteva fermare e interrogare chiunque con una detenzione temporanea. Nonostante l’obiettivo fossero tutti i sospettati di essere impegnati in attività criminali, ne erano oggetto soltanto giovani uomini di colore e latino-americani. A novembre dello scorso anno, poco prima di annunciare la sua candidatura, Bloomberg si è scusato per il suo ruolo nel promuovere la politica che ha eroso la fiducia nella polizia nei quartieri di colore e latini dove, secondo Bloomberg, era ragionevole supporre che le persone fermate fossero coinvolte in attività illecite. “Il nostro obiettivo era salvare vite”, ha dichiarato Bloomberg, “Ma il fatto è che troppe persone innocenti venivano arrestate”, ha aggiunto.

Un giudice federale mise la parola fine nel 2013 con una sentenza che condannava il programma equiparandolo ad una politica di discriminazione razziale indiretta.

I quotidiani americani di quest’oggi non sono sicuri su chi sia il vincitore di quest’ultimo dibattito televisivo, ma sono tutti concordi nell’affermare che Mike Bloomberg ne è uscito con le “ossa rotte”.