È passato del tempo da quel lontano 29 marzo 1979, il mio viaggio in treno da Pyongyang a Myoyang.

Avevo ottenuto a fatica un visto (da Tokyo) per la Corea del Nord dopo due anni di insistenza e grazie anche alla Banca del Commercio Estero. Ero felice perché essendo molto introdotto con il Sud Corea volevo da tempo vedere “l’altra faccia della luna”, il paese eremita guidato dal “Monarca Rosso” Kim Il Sung. Un leader mitico,  distintosi nella guerriglia contro i giapponesi, che aveva guidato il Nord alla guerra civile (1950-53) con l’appoggio cinese, ritenendo, a torto, sia  Mao che Stalin,  che gli americani non sarebbero intervenuti. Una guerra civile  crudele che fece più di 2 milioni di vittime e che terminò con l’armistizio firmato a Pan Mun Jong al 38° parallelo. Nord e Alleati si accordarono sul mantenere una zona demilitarizzata, una striscia di terra che attraversa la penisola coreana lunga 250km e larga fino a  4km. Ad oggi tutto è rimasto così. Da allora la casamatta di Pan Mun Jong è il solo punto di contatto fra Nord e Sud. Dal ’53 nulla è cambiato, continua a non esserci via di comunicazione fra i due paesi.

i Grandi Dittatori della dinastia Kim / foto Pixabay

Dopo aver ottenuto il visto a Pechino presso l’Ambasciata della RPNK da giorni ero quindi a Pyongyang ed eseguivo il mio programma di viaggio che mi avevano gentilmente approvato. Ovviamente non ero da solo, ma con due funzionari che mi avevano accolto all’aeroporto, dei quali, visto il loro background, ho sempre ritenuto fossero delle spie.

Fra le mie richieste c’era la visita ad un luogo “resort” decantato nelle montagne Myohangsan. Ovviamente il mio obiettivo non era visitare un resort bensì vedere, viaggiando, parte del paese ed i famosi templi buddisti di Poh Yon.

La prima sorpresa del viaggio fu vedere tanta gente in attesa di un treno alla stazione. Mentre tutti salivano e riempivano le carrozze, per me fu prevista una carrozza da solo (ad eccezione dei miei due nuovi amici che mi affiancarono per le seguenti 4 ore) e qui cominciò l’indottrinamento.

Con grande zelo mi spiegarono, cercando di convincermi, della “Juche” al che li interruppi con garbo: “guardate che io sono figlio di un fascista morto in combattimento e mi ha cresciuto mio zio comunista. Le ideologie non penetrano su di me come la pioggia su un impermeabile”. Ciò nonostante continuarono imperterriti nella loro “missione” spiegando che dovevano la Juche a Kim Il Sung, il quale li aveva tolti dalla schiavitù giapponese insegnando loro che “ciascuno è responsabile del proprio destino!” Per questo motivo, mi dissero, “il nostro “caro leader” ha il supporto totale della popolazione. Abbiamo tutto quello che ci serve e siamo felici. La scuola gratuita,  l’educazione dei figli certa, la malattia è curata dalla comunità. Non abbiamo il livello dell’Occidente, ma cresciamo con le nostre forze”.

Arco di trionfo colossale a Pyonyang / foto Pixabay

Ma perché così chiusi? domandai e mi dissero “gli americani ci vogliono invadere come hanno già fatto, noi vogliamo che se ne vadano dal nostro paese (dal Sud). Loro ed i giapponesi sono un ostacolo al nostro sogno coreano di unificazione ( chosen Hanada)”. Peraltro sostenevano che  gli americani avevano 700 ogive nucleari al Sud. Come mi confermarono poi i dirigenti del Museo della Guerra a Chosun, al confine con il Sud.

“Le esercitazioni militari Usa con il Sud (team spirit) sono parte di una strategia di invasione ed il Sud è un governo fantoccio degli americani”, e proseguirono “noi sogniamo una federazione della penisola coreana, il comunismo e la Juche al Nord ed il Sud come capitalisti ci possono stare bene, ma senza gli americani”.

All’arrivo del treno mi alloggiarono in un bell’albergo moderno, il giorno dopo mi attendevano le visite a Poh Yon con i suoi  meravigliosi templi buddisti, molto dorati. Avevano ospitato – pre comunismo –  più di 300 monaci, ora ne erano rimasti solo dieci. Inevitabile la mia domanda, come mai? “perché i giovani non si occupano di buddismo e di religione, ma credono nella Juche. La religione non risolve i problemi”.

Insomma, un viaggio che mi diede molto a cui pensare per capire l’essenza del paese. Al ritorno stessa scena, tranne che per le 4 ore di ritardo, ero solo nella mia carrozza con i miei due custodi. Ho pensato che il treno dovesse viaggiare al buio. A mezzanotte l’arrivo nella capitale. Ero ancora colmo di emozioni e grato ai miei due amici per avermi aiutato a capire cosa fosse la Corea del Nord e le sue complessità. Cominciavo a capire che cosa c’era sull’altra faccia della luna…..

Questo capitale di conoscenze mi aiuta ancora oggi a capire meglio un episodio recente: la scomparsa temporanea di Kim Jong-un ha evidenziato quanto il paese sia criptico da capire, non è come parlare del Belgio o della Svezia. Cultura e situazione sono a distanze siderali da noi!

Il loro leader è quasi deificato dal culto della personalità e la sua vita è “segreto di stato”. Viste queste difficoltà, bisogna stare attenti a non prendere lucciole per lanterne nel valutare i fatti.

Vittorio Volpi (continua)