Stiamo danzando sul «Mondo-Titanic», accompagnati da soavi melodie. Dirigenti d’orchestra e solisti sono le Banche centrali, orchestrali: governi, politici, burocrati, organizzazioni internazionali, nel coro vari economisti e gli esponenti dei media.

Le musiche che più ricorrono sono «I soldi ci sono», «I debiti non si pagano», ma anche «Arriverà l’inflazione» e «Tranquilli, ci pensa lo Stato». Nel sottofondo persistenti le musiche cinesi. Tutta roba già da prima della COVID la quale non ha fatto che rendere molto più agitate le acque con la conseguenza di offrire il pretesto ai governi per legittimare ogni immaginabile intervento.

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I soldi ci sono. Certo li fabbricano le Banche centrali. Nel 2000 il bilancio della Banca Nazionale Svizzera era di 119 miliardi di franchi, nel 2010 sale a 270 miliardi, a fine 2020, siamo a 972 miliardi. Ovviamente questo gonfiamento non è dovuto solo allo sviluppo della nostra economia, il PIL essendo passato da 609 miliardi di franchi nel 2009 a 726 miliardi nel 2019. Senza entrare nei dettagli (ad esempio difesa del corso del franco svizzero) questa creazione di moneta è malsana.

Non si tratta di un’eccezione svizzera, il bilancio della Banca Centrale americana (FED) è arrivato a 3.000 miliardi di dollari con un enorme aumento nel 2020 destinato all’acquisto di sostegno di azioni e obbligazioni. Questi massicci interventi sono fonte di squilibrio per un mercato falsato e dominato dalle Banche centrali che contemporaneamente sviluppano anche le proprie burocrazie.

Agli inizi (1998) la BCE con 730 collaboratori aveva costi di struttura di 68 milioni di euro annui, che oggi sono diventati 1.156 milioni di euro ed il numero degli impiegati è salito a 3.770.

Un tempo all’origine della creazione di liquidità vi era il sistema bancario privato che operava rispondendo alle esigenze degli operatori. Oggi con cifre da capogiro sono le Banche centrali, che tengono a galla molti Stati traballanti permettendo loro di sottrarsi alle esigenze di riforme strutturali. Intanto la situazione debitoria mondiale peggiora di anno in anno e stiamo raggiungendo il 100% del PIL mondiale, con Giappone, USA, Italia e Francia che sorpassano abbondantemente anche questa soglia.

Sì, ma tanto i debiti non si pagano e pertanto somme importanti danno ossigeno a ditte definite «zombi», cioè senza alcun reddito economico e possibilità di risollevarsi nel futuro, oppure vengono destinate ad investimenti che si giustificano e reggono solo perché i soldi non costano, o usate per pagare gli interessi del debito pubblico.

La possibilità di non ripagare i debiti è illusoria. Si pagano comunque e nel modo peggiore: concretamente con l’impoverimento generale. Il mancato rimborso dovuto al fatto che il debito non è più coperto dal valore dell’investimento non fa che indebolire l’economia.

Arriverà l’inflazione. Sul breve termine tenderei ad escluderla. Il sistema produttivo (specie nel secondario) non mi pare talmente sotto pressione.

Il mercato del lavoro presenta sacche importanti di disoccupazione, l’evoluzione demografica con l’invecchiamento della popolazione potrebbe avere come saldo una carenza di lavoratori, completamente coperta però dall’evoluzione tecnologica che necessita minor mano d’opera. Inoltre, il cavallo non beve, si nota un’aumentata tendenza al risparmio dei privati, conseguenza dell’insicurezza. In Svizzera siamo a livelli del 30%. A lungo termine la musica può cambiare.

Arriverà l’inflazione, ma in tal caso potrebbe essere devastante, specie se il risparmiatore dovesse convincersi che ormai le banconote che deteniamo hanno il valore della carta e della stampa e che il gioco del «monopoli» è più serio: quando si sono persi tutti i soldi in dotazione non è possibile stamparne per continuare a giocare.

Ma, si dice, ci pensa lo Stato: un corno, con i nostri soldi e impoverendoci tutti, con sistemi economici che dolcemente si avvicinano a statalizzazioni già fallite in passato.

A complicare la situazione vi è pure l’impatto di un Renmimbi sottovalutato che permette alla Cina di fare concorrenza sleale al resto del mondo. Dalla fine dello scorso secolo il tasso di cambio con il dollaro è rimasto in una stretta fascia (e anche l’aumento di questi giorni esprime più la debolezza del dollaro) nonostante l’enorme sviluppo economico, impedendo ai prodotti cinesi (che oggi rappresentano poco meno di un quinto del prodotto mondiale) di rincarare grazie al controllo della valuta. L’economista Konrad Hummler, cultore di Bach e quindi orecchio fine, ha reso attento su questa anomalia, possibile anche per la complicità degli Stati Uniti che non vogliono rinunciare ai vantaggi che derivano loro dalla posizione di moneta di riserva del dollaro e al pratico monopolio sui mercati finanziari.

Le melodie «i soldi ci sono» e «i debiti non si pagano» sono allettanti, hanno trovato persino degli economisti che hanno sviluppato teorie, vedi Modern Money Theory, che seriosamente le sostengono e le fanno apparire intelligenti e moderne.

Forse ho l’orecchio poco sensibile, ma a me suonano troppo facili e intanto l’iceberg avanza e non so di quali scialuppe disporremo (cinesi?).

Tito Tettamanti

Pubblicato sul Corriere del Ticino e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata